“Abbiamo partecipato al colpo”: confessano i rapinatori del Louvre. Rischiano 25 anni
Ammissioni parziali dai due fermati, identificati grazie al Dna. Gli inquirenti non escludono complici: la banda potrebbe essere più numerosa.

Due ammissioni parziali, ma nessuna traccia del tesoro. A dieci giorni dal colpo al Louvre che ha fatto sparire gioielli per quasi 90 milioni di euro, gli arrestati hanno confessato il loro ruolo nella rapina.
“Entrambi hanno parzialmente ammesso la loro partecipazione ai fatti davanti agli investigatori”, ha annunciato ieri in conferenza stampa la procuratrice della Repubblica di Parigi, Laure Beccuau. Per i due malviventi si profilano accuse pesantissime: furto plurimo in banda organizzata e associazione a delinquere, con pene che potrebbero arrivare fino a 25 anni complessivi di reclusione.
Ma le preziose parure del Primo Impero – tempestate di smeraldi e zaffiri – restano volatilizzate nel nulla. Il blitz delle forze dell’ordine ha fermato i sospetti all’ultimo momento utile: stavano per imbarcarsi verso l’Algeria quando gli agenti li hanno bloccati.
Troppo tardi, però, per recuperare il bottino. Gli investigatori hanno stretto il cerchio grazie alle tracce biologiche lasciate sulla scena del crimine: campioni di Dna trovati su uno scooter per il primo arrestato, su oggetti abbandonati durante la fuga per il secondo. Prove scientifiche inconfutabili che hanno permesso di risalire rapidamente ai responsabili.
Entrambi gli arrestati sono volti noti agli archivi della questura. Il primo, 34 anni, nazionalità algerina, residente ad Aubervilliers, si spacciava per fattorino ma vantava già una condanna per furto. Il secondo, 39 anni, dello stesso dipartimento di Seine-Saint-Denis, ha alternato l’attività di tassista abusivo a quella di rider. La sua fedina penale parla chiaro: furti aggravati a ripetizione. Uno dei due era addirittura sotto controllo giudiziario e dovrà presentarsi il prossimo novembre davanti al tribunale di Bobigny per altri reati predatori.
La banda potrebbe essere più numerosa, nessuna pista esclusa
L’inchiesta non si ferma ai due fermati. La procuratrice Beccuau ha lasciato aperta ogni ipotesi: “Non escludiamo la possibilità di un gruppo più ampio dei quattro rapinatori”. Quattro sagome riprese dalle telecamere di sicurezza durante l’assalto, ma forse altri complici nell’ombra. Gli inquirenti stanno vagliando ogni elemento, anche se al momento – ha precisato la magistrata – “nulla permette di affermare che i malfattori avrebbero beneficiato di una complicità all’interno del Museo”. Un’eventualità, quella della talpa tra il personale del Louvre, che non viene però esclusa categoricamente.
Il vero rebus resta la sorte dei gioielli trafugati. “Sono tuttora introvabili”, ha dovuto ammettere Beccuau, confermando che “non sono ancora in nostro possesso”. Di qui l’appello accorato rivolto a eventuali acquirenti o intermediari del mercato nero: “Questi gioielli sono ovviamente ormai invendibili. Chiunque li acquistasse si renderebbe a sua volta colpevole di ricettazione”. Un monito netto, accompagnato da un ultimo spiraglio: “C’è ancora tempo per restituirli”. La speranza, ha aggiunto la procuratrice, è che i capolavori possano tornare “al museo del Louvre e, più in generale, alla nazione”.
Intanto si contano i danni collaterali della rapina. La corona dell’imperatrice Eugénie, abbandonata dai banditi nella fuga precipitosa, ha riportato lesioni che richiedono un intervento delicatissimo. “Il restauro sarà complesso”, ha avvertito Beccuau. Gli esperti del museo sono già all’opera, ma restituire integrità al diadema imperiale richiederà tempo e maestria. Un piccolo sollievo in una vicenda che continua a tenere col fiato sospeso il mondo dell’arte e dell’investigazione francese.
