Batosta per il campo largo in Calabria, Schlein sotto assedio: alleati e minoranza chiedono svolta

La segretaria del Pd difende il campo progressista dopo il ko calabrese, ma M5S e Verdi-Sinistra premono per una linea più netta. Riformisti interni preparano la resa dei conti.

Elly Schlein

Il Partito Democratico difende la strategia del campo largo nonostante la pesante sconfitta in Calabria. Igor Taruffi, responsabile organizzazione e braccio destro della segretaria Elly Schlein, ribadisce la fermezza della linea unitaria: “L’alleanza di centrosinistra rimane una condizione indispensabile per vincere e governare”. Ma dopo il doppio ko in Marche e Calabria, le crepe nella coalizione progressista si fanno sempre più evidenti.

La débâcle calabrese, con uno scarto dal centrodestra superiore alle previsioni, riaccende il dibattito sulla tenuta dell’alleanza faticosamente costruita in due anni e mezzo di segreteria Schlein. Giuseppe Conte, leader del Movimento 5 Stelle, da settimane martella sullo stesso punto: non basta sommare i partiti, serve un programma chiaro e condiviso. Un richiamo che trova eco anche in Alleanza Verdi-Sinistra.

Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni non usano mezzi termini: “Serve un cambio di passo che non può più essere rinviato”. I due leader di AVS mettono il dito nella piaga: “L’impressione è che il campo progressista risulti frutto di improvvisazione e necessità più che l’espressione di una chiara idea di Paese”. La loro proposta è netta: caratterizzare la coalizione con una linea molto più marcata, intercettando il sentimento delle piazze pro-Palestina, anche a costo di scontentare l’ala riformista che, sostengono, “alla prova dei fatti finora porta pochi voti”.

La minoranza dem torna in fibrillazione

Paradossalmente, critiche simili emergono dall’angolazione opposta. La minoranza del Pd, in fermento dopo la rottura con Stefano Bonaccini, condivide la diagnosi ma propone una cura diversa. “È ormai un dato acquisito che l’unità è una condizione necessaria ma non sufficiente”, osserva un esponente riformista. Il problema, secondo questa visione, è che “non basta richiamare i tuoi al voto”. Occorre presidiare un’area più ampia dell’elettorato, non limitarsi a Gaza e alle manifestazioni di piazza.

La segretaria Schlein, attraverso Taruffi, risponde riaffermando la “linea testardamente unitaria”. E lancia un argomento destinato a diventare il mantra delle prossime settimane: il conteggio finale degli elettori premierà comunque il centrosinistra. La tesi si basa sui numeri demografici: “Marche e Calabria contano circa 3 milioni di abitanti, ma nelle prossime settimane voteranno Toscana e Puglia con oltre 4 milioni ciascuna, e la Campania con 6 milioni, la seconda regione più popolosa d’Italia”.

Per questo, conclude Taruffi, “solo dopo il 23 novembre potremo fare una valutazione politica e un bilancio più compiuto”. Una strategia dilatoria che però non convince i critici interni. La minoranza dem ha già pronta la contro-argomentazione: “Facciamo i calcoli da quando Elly è segretaria: il conteggio delle regionali è 8 a 3 per la destra. Vero che Umbria e Sardegna sono state strappate al centrodestra, ma aggiungendo le quattro regioni mancanti andiamo 9 a 6”.

La resa dei conti rinviata a novembre

Per ora il dibattito rimane sotterraneo. Davanti ci sono ancora quattro campagne elettorali da affrontare, e la direzione nazionale del Pd non può permettersi lacerazioni pubbliche. Ma al quartier generale dem sanno bene che questo uno-due Marche-Calabria rischia di disfare la tela faticosamente tessuta in due anni e mezzo di leadership Schlein.

Il confronto, dentro e fuori il Partito Democratico, appare ormai inevitabile. Le prossime settimane saranno decisive: Toscana, Veneto, Campania e Puglia diranno se la strategia del campo largo ha ancora un futuro o se il centrosinistra dovrà ripensare radicalmente la propria identità e il proprio perimetro politico.