Berlusconi compatta Fi su riforme (ma perde 2 pezzi). E pensa Italicum

Berlusconi compatta Fi su riforme (ma perde 2 pezzi). E pensa Italicum
13 ottobre 2015

di Maurizio Balistreri

La notizia che colpisce Forza Italia arriva da Milano. L’arresto per tangenti dell’ex senatore Mario Mantovani giunge mentre Silvio Berlusconi si reca a Palazzo Madama per riunire i suoi parlamentari. Il Cavaliere lo difende: “Ci ha stupito molto questa inchiesta di cui non sapevamo nulla. Francamente – dice – lo conosciamo come persona corretta e siamo in attesa di notizie”. Ma la mission della giornata è quella di ricompattare i gruppi di Forza Italia: non soltanto in vista del voto finale sulle riforme costituzionali. Gli azzurri ultimamente si sono sentiti allo sbando, abbandonati dal loro leader, in preda alla sensazione che il suo disinteresse per la politica avesse raggiunto un punto di non ritorno. Da un po’ di tempo, però, Berlusconi è tornato a essere attivo: per ora si tratta più che altro di partecipazioni a convegni ma, promette, presto tornerà anche in tv. Eppure, dietro questo rinnovato attivismo del Cavaliere ci sarebbe soprattutto la speranza che davvero Matteo Renzi, come gli avrebbe sussurrato Paolo Romani, sia disposto a modificare l’Italicum per inserire il premio alla coalizione invece che alla lista. “Per noi è essenziale”, ha detto l’ex premier. D’altra parte, si tratterebbe di una novità che consentirebbe di giocare con la Lega una partita molto diversa in vista delle Politiche.

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Quello che Berlusconi snocciola davanti ai suoi parlamentari, per il resto, è il solito canovaccio di rassicurazioni. “Ho sempre detto pubblicamente i traguardi che volevo raggiungere – sottolinea – e quindi poi non potevo tirarmi indietro. E li ho raggiunti tutti. Raggiungerò anche quello di riportare Forza Italia a essere il primo partito”. Un accenno anche al voto di primavera, senza però entrare nel merito. “Le elezioni amministrative – dice ancora – sono il primo tempo della partita per il governo dell’Italia”. Ma, soprattutto, l’ex premier cerca di portare su una posizione unitaria i senatori visto che alla vigilia del voto finale il gruppo era arrivato spaccato in tre: chi voleva votare no, chi chiedeva di non votare affatto e chi, invece, era pronto a votare sì. Alla fine la ricerca di una linea comune porta i suoi frutti: gli azzurri non partecipano allo scrutinio e, per la maggior parte, decidono anche di uscire dall’aula come già avevano fatto Lega e M5s. Spiccano però due defezioni, per la verità abbastanza “telefonate”: Riccardo Villari e Barnabò Bocca decidono infatti di rimanere nell’emiciclo e sostenere le riforme di Renzi. Finisce che, anche grazie a loro, la maggioranza ottiene 179 voti, soltanto 4 in meno della prima lettura in cui era in vigore il patto del Nazareno. La linea del Cavaliere resta però contro il ddl Boschi. “Siamo in una grave emergenza democratica. Oggi – ribadisce lasciando palazzo Madama – si compie il primo passo di un percorso pericoloso perché il combinato disposto di questo Senato, con un solo partito che può prendere il comando, ci porta dritto verso una non democrazia”.

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