Cronaca

Decreto migranti, Wall Street come la Silicon Valley (e Obama) contro Trump

Dopo le aziende della Silicon Valley, le prime tra sabato e domenica scorsi a reagire al divieto temporaneo agli ingressi in Usa di rifugiati e cittadini di sette Paesi prevalentemente musulmani voluto da Donald Trump, anche i gruppi simbolo di Wall Street fanno sentire la propria voce. E mentre la Casa Bianca ha continuato a difendere le proprie decisioni con il portavoce Sean Spicer che ha detto: “Venire in Usa è un privilegio, non un diritto”, una critica indiretta è arrivata anche da Barack Obama. L’amministratore delegato di Goldman Sachs, tra coloro che hanno sostenuto (inutilmente) la campagna della candidata democratica Hillary Clinton, ha fatto sapere in un messaggio vocale ottenuto dal Wall Street Journal che l’ordine esecutivo firmato venerdì scorso dal presidente Usa sta creando “confusione dentro il gruppo, specialmente per alcuni dei nostri dipendenti e delle loro famiglie”.

DIVERSITA’ E’ RICCHEZZA Per Lloyd Blankfein “essere diversi non è un’opzione. E’ quello che dobbiamo essere”. JP Morgan Chase ha promesso un “impegno inamovibile” a sostegno dei sui dipendenti. “Il nostro Paese”, ha spiegato la banca di Jamie Dimon, “la nostra economia e il nostro benessere sono rafforzati dalla ricca diversità nel mondo attorno a noi”. James Gorman, amministratore delegato di Morgan Stanley, ha fatto sapere che sta “monitorando attentamente” la situazione. E anche se per il momento nessun dipendente sembra toccato dalla misura, ha sottolineato che “continuare a pescare talenti in giro per il mondo è una parte cruciale della cultura della banca”. Il Ceo di BlackRock, Laurence Fink, ha sostenuto che la sicurezza degli Stati Uniti e la lotta contro il terrorismo dovrebbero essere perseguite “nel rispetto dei diritti individuali e del principio di inclusione”. Il colosso dell’asset management ha fatto sapere che continuerà a dare il “benvenuto alle persone da tutto il mondo” perché “ciò è alle radici di chi siamo e di chi saremo per sempre”. Wells Fargo dal canto suo sta cercando di capire le implicazioni dell’ordine esecutivo per vedere se ha un “impatto diretto sul suo personale e sulle sue attività”.

LAVORO A RIFUGIATI Da Detroit (Michigan), soltanto Ford per il momento ha criticato la misura che Trump ha continuato a difendere dando per altro la colpa a Delta Air Lines per il caos che c’è stato negli aeroporti Usa. Peccato che il problema informatico vissuto dalla compagnia aerea sia durato solo qualche ora e si sia verificato oltre 48 ore dopo la firma dell’ordine esecutivo controverso. Intanto la catena di caffetterie Starbucks si è detta pronta ad assumere 10.000 rifugiati in cinque anni. Guardandosi bene dall’intervenire direttamente, anche Barack Obama ha fatto capire come la pensa. Attraverso un portavoce, il predecessore di Trump si è detto “rincuorato” da come il Paese ha reagito alla misura; il riferimento è alle proteste che ci sono state in tutti gli Usa e ai cittadini che stanno esercitando i loro diritti costituzionali facendo “sentire la loro voce”. Secondo il portavoce “in gioco ci sono i valori americani”. E l’America che non crede in Trump lo sta facendo capire, anche a colpi di cause legali. Intanto il Pentagono sta preparando un elenco di nomi di iracheni come traduttori ed autisti che hanno aiutato gli Usa in modo tale che non finiscano tra le vittime della misura criticata anche dagli alleati degli Usa come Germania e Regno Unito. Non è chiaro se l’ordine sia partito dalla Casa Bianca, che ieri ha fatto marcia indietro anche sui possessori di Green Card originari dai sette paesi presi di mira. A loro il “privilegio” di entrare negli Stati Uniti sarà concesso ma solo dopo controlli rigidi.

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