Politica

Difesa nucleare e missili, Biden riprende in mano i cocci di Trump

Joe Biden ha giurato. Il 46esimo presidente degli Stato Uniti è ufficialmente il nuovo capo della Casa Bianca. Il suo team di Sicurezza nazionale sarà chiamato a mettersi rapidamente al lavoro su una serie di decisioni chiave in materia di difesa nucleare e missilistica: tra tutte, il rinnovo con la Russia del trattato Start (Strategic Arms Reduction Treaty) per la limitazione degli arsenali di armi di distruzione di massa; l’opportunità di un coinvolgimento della Cina; il proseguimento del programma Next Generation Interceptor (NGI). “Tutto è sul tavolo, come si suol dire”, ha confermato nei giorni scorsi Rob Soofer, che ha servito come vice segretario alla Difesa con delega per la Politica di difesa nucleare e missilistica sin dall’inizio dell’amministrazione Trump. E non si tratta solo di una questione politica, ma di programmi e investimenti. Gli uomini di Biden potrebbero chiedere una modifica della richiesta di bilancio del presidente uscente Donald Trump per l’anno fiscale 2022. Ma la finestra di tempo è limitata: il budget va indicato a breve, entro metà marzo e bisognerà fare in fretta. Secondo fonti del Pentagono è necessaria “una considerazione a breve termine”.

E Soofer non può che concordare: le decisioni sui “finanziamenti per il deterrente strategico a terra e la certificazione nucleare dell’F-35” si “riflettono sulla richiesta di bilancio: quindi in un certo senso devono prendere una decisione entro mesi”, ha spiegato a Defense News. Sul piano politico, la decisione più importante riguarda il trattato Start e la strategia da adottare. Ed è una questione che ha ricadute anche sul piano finanziario. I consiglieri di Biden hanno fatto sapere di fare affidamento sugli accordi per il controllo degli armamenti per ridurre il budget del dipartimento della Difesa. Una scelta, d’altra parte, che non stupisce in un’amministrazione liberale che si è impegnata per un drammatico aumento della spesa interna. Alcuni esperti, però, si sono detti totalmente scettici, sottolineando che fare affidamento su un accordo con la Russia rappresenta un paradiso per gli sciocchi. Qualunque sia il risparmio fiscale a breve termine (comunque, relativamente piccolo) sarà controbilanciato a lungo termine dalle crescenti minacce non solo di Mosca, ma anche di Pechino e di Stati canaglia che aspirano a diventare potenze nucleari, è stato rilevato.

Fatto sta che il patto nucleare scade il 5 di febbraio. Il team di Biden ha due opzioni da perseguire con la Russia ed entrambe riguardano la sua estensione: uno o cinque anni? Vladimir Putin ha recentemente proposto una proroga di un anno – qualcuno dice – preoccupato di non aver ricevuto segnali dal presidente eletto; Biden potrebbe offrire appena sei mesi, secondo John Bolton, ex consigliere per la Sicurezza nazionale di Trump. “La Russia e il suo presidente sono favorevoli a preservare questo accordo”, ha detto ancora oggi il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. “Se i nostri colleghi americani dimostreranno infatti una volontà politica di preservare questo patto, estendendolo, questo non può che essere accolto con favore”. E Soofer, che ha preso parte direttamente ai colloqui con Mosca nell’ultimo anno, ritiene che, sulla base di questi negoziati, ci sia una reale opportunità di includere le armi nucleari tattiche russe in una nuova versione dell’accordo. “Per sfruttare questa opportunità, l’amministrazione Biden non dovrebbe estendere il nuovo trattato Start per cinque anni”, ha però precisato. “Se lo faranno, la Russia intascherà l’estensione, se ne andrà e non la rivedremo mai più”.

Una visione non proprio condivisa da tutti. “Non ci sono prove che la Russia abbia un disperato bisogno di estendere il trattato o che un’estensione a più breve termine del Nuovo Start renderebbe la Russia più propensa a negoziare un accordo successivo”, hanno scritto in un rapporto gli esperti dell’Associazione per il controllo degli armamenti. “Né è probabile che una proroga di uno o due anni sia un tempo sufficiente per negoziare un nuovo accordo. Lo Start ha richiesto dieci mesi di negoziato e poi lo stesso tempo per entrare in vigore. E quello era un momento in cui le relazioni tra Stati Uniti e Russia erano molto meno tese”. E non è tutto. Perché Biden dovrà anche decidere come comportarsi con la Cina. L’amministrazione Trump è stata irremovibile sul fatto che qualsiasi estensione dello Start dovrebbe includere Pechino. Una visione che, se confermata dal nuovo presidente, avrebbe implicazioni di vasta portata per il futuro del regime internazionale di non proliferazione nucleare e per la stabilità strategica mondiale, in particolare della regione dell’Asia meridionale. Perché se è vero che Pechino possiede appena 300 testate, contro le 4.000 statunitensi, la nuova amministrazione Usa non può ignorare il ritmo con cui la Cina sta colmando il divario di potenza militare con gli Stati Uniti. Negli ultimi anni, inoltre, Pechino ha notevolmente modernizzato le sue capacità militari convenzionali e non convenzionali, destinando anche enormi investimenti allo spazio e all’intero mondo cyber.

A livello di programmi, poi, ci sono una serie di grandi temi all’orizzonte della Casa Bianca. Biden e i suoi collaboratori alla Difesa dovranno capire se è il caso di approvare il programma per il Long-Range Standoff, arma a lungo raggio o LRSO, una decisione prevista a maggio. In passato il programma LRSO ha ricevuto reazioni contrastanti tra i democratici, e numerosi sforzi sono stati compiuti nel 2015 e nel 2016 per annullarlo completamente. Hillary Clinton, candidata alla presidenza democratica durante le elezioni del 2016, aveva espresso scetticismo sull’LRSO, facendo presagire che la sua amministrazione avrebbe cercato di cancellarlo. Mentre sul fronte della difesa missilistica, l’urgenza maggiore è rappresentata dal programma Next Generation Interceptor, o NGI. Nel FY21 National Defense Authorization Act, il Congresso ha ordinato al Pentagono di costruire un intercettore “provvisorio” per la difesa missilistica balistica intercontinentale, con consegna entro il 2026, giusto pochi anni prima dell’implementazione dell’NGI.

Il Congresso ha poi concesso una deroga al Pentagono e adesso una decisione in tal senso dovrà arrivare dall’amministrazione Biden. Più in generale, però, la questione chiave sulla difesa missilistica per il neo presidente è se andare avanti con il piano di Donald Trump di aggiungere 20 Ground-Based Interceptor. “Se lo faranno, scopriranno abbastanza rapidamente che la differenza tra una capacità provvisoria e il sistema definitivo, in termini di tempo, è forse una o due anni”, ha commentato Soofer. I nuovi vertici dell’amministrazione Usa, così, potrebbero scegliere di apportare un significativo miglioramento alle capacità dell’NGI, che consentirebbe il dispiegamento di un sistema più efficace in termini di risultati e potenzialmente più mortale. askanews

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