Direzione Pd approva percorso congresso tra dubbi e malumori

Direzione Pd approva percorso congresso tra dubbi e malumori
Andrea Orlando e Enrico Letta
29 ottobre 2022

Il congresso Pd parte ufficialmente, la direzione approva il percorso messo a punto da Enrico Letta dopo molti colloqui con tutti i dirigenti del partito e con gli alleati che dovranno partecipare alla “costituente”, ma restano i malumori, le visioni diverse e quella sensazione che il partito sia effettivamente a un “bivio” evocato più volte durante la discussione. Formalmente ci si scontra sui tempi, tra chi chiede di fare in fretta e chi invoca una discussione “approfondita”, e alla fine Letta chiude fissando le primarie per il 12 marzo, appena dieci giorni prima il termine che già era stato indicato nella precedente direzione.

Ma il vero braccio di ferro è sul profilo, sulla natura stessa del partito, sull'”identità” come dicono in molti, a cominciare da Andrea Orlando: i democratici non dovranno scegliere solo un nuovo segretario, ma saranno chiamati a decidere se il Pd debba rilanciare il suo impianto originario o svoltare, ricollocarsi su posizioni più tradizionalmente socialdemocratiche per non subire la concorrenza di Giuseppe Conte. Letta cerca di tenere tutto insieme, il segretario propone una sintesi di posizioni che sembrano quasi inconciliabili. Promette di essere “neutrale” al congresso – cioè non sosterrà nessun candidato – anche se chiarisce che dirà la sua su tutte le questioni sul tavolo. Tutti potranno partecipare, fin dalla prima fase – quella finora riservata agli iscritti – perché così chiedono gli alleati come Articolo uno, ma perché questo vuole anche la sinistra Pd.

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Ma anche dopo il suo intervento iniziale sono molti a sollevare dubbi e critiche. Matteo Orfini è uno dei primi a chiedere di accelerare: “Sei mesi per eleggere un segretario in queste condizioni a me pare un’enormità”. E poi, aggiunge, “noi abbiamo un doppio attacco, il tentativo di Terzo polo e M5s di spolpare il Pd. Non è che si risponde a questo dicendo a uno ‘sei un puzzone’ e all’altro ‘ti voglio bene anche quando mi schiaffeggi’. È un rapporto tossico quello che un pezzo di questo gruppo dirigente ha con il M5s”. E, ovviamente, c’è Stefano Bonaccini a sollecitare tempi più rapidi: “Evitiamo l’abbaglio che la rigenerazione del partito la fa un congresso con tempi infiniti. La destra ci ha messo meno di 24 ore a fare un governo.
Se ci mettiamo troppo tempo diamo alle persone l’idea che decidiamo di noi e non dei loro problemi”.

Orfini tocca il vero punto, la competizione a sinistra avviata da Conte mette in agitazione una buona fetta dei democratici che vengono dai Ds. Nicola Zingaretti propone tre giornate di “mobilitazione straordinaria”, rispolvera il concetto di “conflitto sociale” e spiega che “c’è la destra, che è forte e governa, ma l’alternativa siamo noi”. Andrea Orlando, poi, si lamenta: “La costituente non è partita bene”, attacca. Bisogna mettere in discussione “l’identità” e anche la “forma partito”, insieme al manifesto del Pd come promesso da Letta. Perché se non si tocca la forma partito, aggiunge, “è solo un restyling di quello che c’è. E a mio avviso non è sufficiente”.

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L’ex ministro del Lavoro fa esempi concreti, cita la questione del merito e polemizza anche con “parti del centrosinistra” su questo: “E’ l’idea che si debbano garantire pari opportunità di partenza e poi c’è una competizione. Io ritengo invece che bisogna intervenire anche dopo l’iscrizione alla corsa, aiutando chi è rimasto indietro”. Ma non si può fare “se da anni riteniamo che il fisco sia un tabù, che l’intervento pubblico nell’economia sia una bestemmia, se pensiamo che il tema della governance delle imprese debba essere lasciato così com’è”. Certo, riconosce, “i nostri strumenti, anche quelli della vecchia sinistra del secolo scorso non sono più sufficienti”. Ma, di fatto, delinea il profilo di una forza molto diversa dal Pd attuale e anche da quello che era stato immaginato nel 2007.

E su questo Bonaccini ha un’idea diversa: “La riconnessione nella società la facciamo nella società. I lavoratori sono nelle fabbriche, negli studi professionali, nelle imprese, non nei convegni. L’identità di un partito non la definisci fuori dalla battaglia politica quotidiana”. In tanti provano a chiedere una correzione del percorso. Gianni Cuperlo chiede che sia Letta a gestire la rifondazione del partito e aggiunge che se non fosse possibile tanto vale accelerare il congresso. Alessia Morani dice che i tempi sono “troppo lunghi”, anche Matteo Ricci avrebbe preferito “tempi più rapidi”. C’è anche Brando Benifei, capodelegazione Pd a Bruxelles, che chiede una scelta netta: “Alcune posizioni non possono più far parte della nostra cultura politica: dobbiamo chiarire che non siamo un partito moderato liberale e non siamo i grillini. Siamo il partito italiano del socialismo europeo. Bisogna capire ciò che ci unisce, ma non possono essere gli stessi presupposti del 2007”. Qualcuno, come Marco Miccoli, arriva a evocare scelte drastiche anche a costo di uno scontro e forse di una rottura dentro al Pd.

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Letta, nella replica, difende la sua proposta: “I tempi sono importanti ma è importante il modo con cui affrontiamo la discussione. Il percorso che ho proposto tiene conto della complessità della situazione”. Soprattutto, sottolinea, “vorrei invitare tutti a leggere bene lo statuto del nostro partito, che non ho scritto io, per essere chiari. Vi invito a fidarvi di chi lo statuto se l’è letto e studiato. Penso che la proposta che ho fatto sia equilibrata, di sintesi, partendo dall’attuale situazione statutaria. Serve che tutti siamo convinti di questa strada e della modalità con cui la sto promuovendo”. La proposta passa, con la non partecipazione al voto dell`area Orfini e con una dozzina di astensioni. Ma che siano tutti convinti è da dimostrare.

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