“Ha rifiutato sostegno a invasione, rabbino capo è fuggito da Mosca

“Ha rifiutato sostegno a invasione, rabbino capo è fuggito da Mosca
Pinchas Goldschmidt
8 giugno 2022

L’esilio del rabbino capo di Mosca Pinchas Goldschmidt, figura centrale nella comunità ebraica russa, è considerato un passo “spaventoso” da numerosi commentatori, visto in un contesto più ampio di fuga ed emigrazione degli ebrei russi dalla Russia. Il Capo rabbino di Mosca dal 1993 e presidente della Conferenza dei rabbini europei dal 2011 avrebbe lasciato Mosca, dopo aver preso le distanze dalla guerra in Ucraina, nella prima metà di marzo anche se a darne notizia solo ieri è stata la nuora, la giornalista Avital Chizhik-Goldschmidt. Lo ha reso noto in una serie di tweet che hanno portato a galla quello che già da tempo si temeva, soprattutto dopo alcuni commenti rilasciati in un’intervista a Rete 4 dal ministro degli Esteri Sergei Lavrov proprio sugli ebrei. “Posso finalmente condividere che i miei suoceri, il rabbino capo di Mosca Rabbi Pinchas Goldschmidt e Rebbetzin Dara Goldschmidt, sono stati messi sotto pressione dalle autorità (russe, ndr) per sostenere pubblicamente l'”operazione speciale” in Ucraina e hanno rifiutato. Sono andati in Ungheria due settimane dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Ora sono in esilio dalla comunità che hanno amato e dove hanno cresciuto i loro figli, per oltre 33 anni”, ha scritto la nuora. A Mosca resiste invece il rabbino Berel Lazar “che ironia della sorte ha le sue radici in Ucraina. L’uomo, si dice, ha stipulato un tacito contratto con il presidente russo in merito al Cremlino, che garantisce la sicurezza della comunità in cambio di sostegno politico” ha scritto ieri Le Figaro.

Berel Lazar, nato a Milano e ordinato rabbino a New York, è rabbino capo della Russia, presidente della Federazione delle Comunità Ebraiche ed è da sempre considerato vicino al presidente russo Putin. Tuttavia Pinchas Goldschmidt rappresentava una presenza autorevole ed era di fatto volto politico per la comunità ebraica russa, avendo anche affrontato numerose traversie, per sviluppare la vita ebraica post sovietica a Mosca, con istituzioni, scuole, ristoranti e negozi. Una delle principali sinagoghe di Mosca, ad esempio, nel quartiere chic Patriarshi Prudi è diventata un’attrazione cittadina e turistica, con il suo ristorante con terrazza. E appare come la dimostrazione che Pinchas Goldschmidt era riuscito nel suo intento. Nonostante il lavoro duro e numerosi ostacoli che nascondevano un pericoloso razzismo strisciante. Nel gennaio 2005 era arrivata la richiesta della chiusura della vita organizzata ebraica in Russia attraverso una petizione che riuniva 500 russi, compresi 19 deputati e numerosi “intellettuali”. Ma il vero scandalo arrivò alcuni mesi dopo, a settembre 2005, quando il rabbino si vide il visto annullato. La moglie Dara Goldschmidt, a Mosca con i sette figli della coppia, aveva detto di essere tornata senza problemi da una visita in Israele in ottobre e che non aveva idea del motivo per cui il visto di suo marito era stato annullato.

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Tankred Golenpolsky, editore dell’International Jewish Newspaper con sede a Mosca, aveva dichiarato che il vicepremier israeliano Shimon Peres aveva sollevato la questione di Goldschmidt con il (già allora) ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov il 27 ottobre 2005. Da notare che la questione del 2005 era caduta a cento anni esatti dal decreto dello zar Nicola II sulla tolleranza religiosa che liberò formalmente le minoranze religiose russe dalle restrizioni statali e dalle persecuzioni. Dopo numerose vicissitudini con il visto, il cittadino svizzero e rabbino Pinchas Goldschmidt nel 2010 per ordine speciale dell’allora presidente Dmitry Medvedev è diventato cittadino russo. La situazione dell’epoca era anche figlia dell’Urss e della sua storia che aveva creato una grave carenza di rabbini, quindi la maggior parte di coloro che lavoravano nel paese negli anni ’90 erano stranieri. Prima del 1990 in Unione Sovietica infatti, agli ebrei non era permesso neppure di formare un organo centrale che unisse le comunità religiose ebraiche. In tempo di Perestrojka, tuttavia, in una conferenza dei rappresentanti della comunità tenutasi nel gennaio 1990, è stato creato il Consiglio di tutta l’Unione delle comunità religiose ebraiche dell’URSS.

Nonostante gli impasse, il rabbino ha servito a Mosca negli ultimi 33 anni ma è stato costretto ad andarsene a causa del suo rifiuto di sostenere la guerra, secondo quanto riportato anche dal francese Le Figaro e da fonti dell’israeliano Ynet. Quest’ultimo scrive che ora il rabbino ha paura di tornare in Russia per l’aiuto prestato ai profughi ucraini in questi mesi. “Nelle prime settimane dopo la sua partenza, Goldschmidt soggiornò in varie capitali dell’Europa orientale, aiutando i rifugiati ebrei fuggiti dall’Ucraina, ma in seguito si recò in Israele e da allora è qui. Funzionari della comunità ebraica russa hanno affermato che, poiché Goldschmidt ha aiutato i rifugiati dall’Ucraina negli ultimi mesi, ha paura di tornare a Mosca”. E sempre Ynet aggiunge: “Goldschmidt ha rifiutato di commentare le accuse di essere stato costretto a lasciare la Russia a causa del suo rifiuto di sostenere pubblicamente la guerra. Sullo sfondo delle sanzioni contro la Russia e la situazione economica del paese, i membri della comunità ebraica hanno rivelato che migliaia di ebrei stavano lasciando la Russia per Israele, Dubai e altri luoghi”.

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