
Il declino non risparmia quasi nessuna regione. Abruzzo e Sardegna guidano la caduta con perdite superiori al 10%, mentre l’intero territorio nazionale sembra precipitare in una spirale dalla quale appare sempre più difficile riemergere. I dati non lasciano spazio a interpretazioni: l’Italia sta perdendo la battaglia della natalità, con conseguenze che rischiano di compromettere l’intero sistema economico e sociale della nazione.
Eppure, in questo scenario desolante, emergono tre piccole isole di resistenza. Valle d’Aosta, Bolzano e Trento nuotano controcorrente, registrando incrementi delle nascite che vanno dallo 0,6% al 5,5%. Numeri che, per quanto marginali rispetto al quadro generale, dimostrano che invertire la rotta non è impossibile, ma richiede politiche mirate e condizioni territoriali favorevoli.
Tre regioni alpine sfidano il declino nazionale
La Valle d’Aosta si distingue per la performance più brillante. Da gennaio a luglio 2025, la regione alpina ha visto nascere 401 bambini, 21 in più rispetto ai 380 dello stesso periodo dell’anno precedente. Un incremento del 5,5% che rappresenta un’autentica anomalia statistica nel panorama italiano.
Anche le province autonome di Trento e Bolzano confermano il trend positivo.
Nel 2024 il Trentino ha registrato un aumento del 4%, l’Alto Adige del 5,2%. L’Osservatorio economico e sociale della Regione autonoma definisce questi risultati “un dato positivo in un quadro di denatalità ormai strutturale”, sottolineando come questi territori riescano a mantenere una vitalità demografica sconosciuta al resto del Paese.
Le ragioni di questa eccezionalità vanno ricercate probabilmente in un mix di fattori: maggiore presenza di servizi per l’infanzia, politiche familiari più incisive a livello locale, condizioni economiche relativamente migliori e, forse, un tessuto sociale più coeso. Elementi che dovrebbero suggerire al governo nazionale la strada da percorrere.
Figli sempre più rari, madri sempre più mature
Il dato sul numero medio di figli per donna tocca un nuovo minimo storico che fotografa impietosamente lo stato della crisi. Nel 2024 l’indicatore si è attestato a 1,18, in calo rispetto all’1,20 del 2023. Le stime provvisorie relative ai primi sette mesi del 2025 prospettano un ulteriore scivolamento a 1,13, un valore che allontana sempre più l’Italia dal tasso di sostituzione necessario per mantenere stabile la popolazione.
Parallelamente, cresce l’età in cui le donne decidono di diventare madri. Nel 2024 l’età media al parto ha raggiunto i 32,6 anni, mezzo punto in più rispetto al 2023 e quasi tre anni oltre il dato del 1995. Un divario territoriale segna ancora il Paese: al Centro e al Nord le donne partoriscono mediamente a 33 e 32,7 anni, mentre al Sud l’età scende leggermente a 32,3 anni.
Lazio, Basilicata e Sardegna detengono il primato della posticipazione, con un’età media al parto di 33,2 anni in tutte e tre le regioni. Numeri che raccontano una generazione di donne costrette a rimandare la maternità per ragioni economiche, professionali e sociali, in un sistema che non offre le garanzie necessarie per conciliare lavoro e famiglia.
Politica sotto accusa: “Tre anni di governo, zero risultati”
I numeri dell’Istat hanno scatenato un violento scontro politico. La senatrice Raffaella Paita, capogruppo al Senato di Italia Viva, definisce il quadro “drammatico” e accusa frontalmente l’esecutivo: “Dopo tre anni di governo è la dimostrazione più evidente della totale assenza di politiche per la famiglia”.
Ancora più duro Marco Furfaro, responsabile Contrasto alle diseguaglianze e Welfare nella segreteria nazionale del Pd e capogruppo in Commissione Affari Sociali: “Il governo Meloni si riempie la bocca di parole come ‘famiglia’ e ‘natalità’, ma poi non fa assolutamente nulla per chi vorrebbe crearne una”.
Un attacco che punta il dito sulla distanza tra la retorica e i fatti, tra le promesse elettorali e le politiche concrete. Gigi De Palo, presidente della Fondazione per la Natalità, inquadra la questione in una prospettiva più ampia: “Si conferma la profonda crisi demografica che l’Italia sta attraversando. Non è più un segnale isolato, ma un trend che mette a rischio la sostenibilità sociale ed economica della nostra nazione”. Parole che suonano come un ultimatum: senza interventi strutturali immediati, il Paese rischia il collasso demografico.
