Kim Jong Un loda trump e apre a dialogo senza rinunce nucleari

Dopo il fallimento di Hanoi, il regime nordcoreano sfida il piano di pace sudcoreano in tre fasi, accusandolo di essere un’eco di vecchie strategie fallite.

Donald Trump

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e il dittatore nordcoreano, Kim Jong-un

In un colpo di scena diplomatico, il leader nordcoreano Kim Jong Un ha espresso un “bel ricordo” del presidente statunitense Donald Trump, aprendo la porta a nuovi colloqui con Washington a patto che gli Usa abbandonino la pretesa di denuclearizzazione della Corea del Nord. La dichiarazione, resa pubblica oggi dall’agenzia di stampa ufficiale Kcna, arriva dopo che Trump ha ventilato la possibilità di un incontro quest’anno, segnando un potenziale riavvicinamento dopo anni di stallo.

Kim ha pronunciato queste parole durante un cruciale incontro parlamentare svoltosi sabato e domenica a Pyongyang, un forum che ha delineato le posizioni intransigenti del regime su nucleare e relazioni intercoreane. “Personalmente, ho ancora un bel ricordo del presidente degli Stati Uniti Trump”, ha dichiarato il leader, in un commento diretto e inedito sul loro rapporto bilaterale. Si tratta della prima volta che Kim evoca esplicitamente i ricordi personali con l’ex tycoon, sebbene a luglio la sorella Kim Yo Jong avesse già accennato che i legami tra i due “non sono cattivi”.

Il messaggio di Kim irrompe in un contesto di speculazioni crescenti: voci da Washington indicano che Trump potrebbe orchestrare un incontro a sorpresa con il dittatore nordcoreano, forse nel simbolico villaggio di tregua di Panmunjom, durante la sua visita in Corea del Sud per il vertice Apec di novembre. Un’ipotesi che riecheggia i fasti del primo mandato di Trump, quando i due leader si incontrarono tre volte: il debutto storico a Singapore nel giugno 2018, seguito dal fallimento ad Hanoi nel febbraio 2019, dove i negoziati sulla denuclearizzazione si incepparono irrimediabilmente.

La bomba nucleare: “Irreversibile e non negozabile”

Nel corso dello stesso incontro parlamentare, Kim ha ribadito con fermezza che la Corea del Nord non cederà mai alle sue armi nucleari, elevandole a pilastro della sovranità nazionale. “Non saranno mai una merce di scambio”, ha tuonato il leader, sottolineando come il paese sia ormai una “potenza nucleare irreversibile”, status sancito persino dalla costituzione nordcoreana.

Questa posizione rigida chiude la porta a qualsiasi concessione unilaterale, ma lascia uno spiraglio per il dialogo: “Se gli Stati Uniti abbandonano la loro ossessione vuota per la denuclearizzazione e vogliono perseguire la pacifica convivenza con la Corea del Nord sulla base del riconoscimento della realtà, non c’è alcuna ragione per cui non dovremmo sederci con loro”. Il rifiuto categorico della denuclearizzazione come prerequisito segna un’evoluzione tattica di Pyongyang, che da Hanoi in poi ha congelato i canali negoziali. Eppure, il tono nostalgico verso Trump suggerisce una preferenza per lo stile imprevedibile dell’attuale inquilino della Casa Bianca, rispetto alle approcci più strutturati dei predecessori.

Rottura con Seul: “Nessuna riunificazione, mai”

Sul fronte intercoreano, le parole di Kim sono state altrettanto taglienti, escludendo categoricamente colloqui con la Corea del Sud e smontando l’ipotesi di una riunificazione. “Non ci uniremo mai a un Paese che affida la propria politica e difesa a una potenza straniera”, ha dichiarato, puntando il dito contro la dipendenza di Seul dagli Stati Uniti. Il leader ha liquidato la riunificazione come “non necessaria”, un voltafaccia netto rispetto alle narrative passate di fratellanza etnica.

Particolarmente aspra è stata la critica al piano in tre fasi proposto dal presidente sudcoreano Lee Jae-myung, insediatosi a giugno. Kim lo ha derubricato a una “semplice copia” delle vecchie proposte dei suoi predecessori, un affondo che mina gli sforzi di Lee per un’apertura di pace. Il piano sudcoreano prevede un congelamento iniziale dei programmi nucleari e missilistici nordcoreani, seguito da dismantellamento graduale e garanzie di sicurezza, ma Pyongyang lo vede come un ennesimo tentativo di imposizione straniera. Da Seoul, non è arrivata ancora una reazione ufficiale, ma l’iniziativa di Lee rappresenta un tentativo disperato di sbloccare i rapporti, deteriorati da test missilistici e sanzioni. In un’Asia sempre più instabile, le parole di Kim potrebbero rimescolare le carte, offrendo a Trump un’opportunità per un colpo diplomatico – o un nuovo vicolo cieco.