La sanità rischia il collasso: 30mila medici in meno entro il 2030
L’allarme della Fnomceo. Nonostante un numero elevato di camici bianchi in Italia, meno della metà lavora nel pubblico. La carenza si farà sentire soprattutto nelle cure primarie.
Entro il 2030 il Servizio sanitario nazionale perderà 40.000 medici in pensione, ma ne rimpiazzerà appena 10.000: un buco di 30.000 professionisti che rischia di paralizzare la rete di cure territoriali, dalle Case di comunità ai consultori. A lanciare l’allarme è Antonio Magi, presidente del Centro studi della Federazione nazionale degli Ordini dei medici (Fnomceo), che chiede al governo un intervento urgente per evitare il collasso del sistema sanitario pubblico.
Il quadro delineato da Magi è impietoso: nonostante l’Italia conti 7,04 medici ogni 1.000 abitanti — un dato superiore a quello di Germania, Francia, Spagna e Regno Unito — la disponibilità reale di camici bianchi all’interno del Ssn è drasticamente inferiore. Dei 415.868 medici iscritti all’Albo che esercitano attivamente la professione, infatti, solo 208.710 operano effettivamente nel sistema pubblico. Gli altri sono impegnati nel privato, all’estero o in libera professione.
La situazione è destinata a peggiorare nei prossimi cinque anni. Con 40.000 medici prossimi alla pensione e soltanto un quarto destinato a essere sostituito, il Ssn si troverà con appena 178.000 professionisti a disposizione. Un numero insufficiente non solo per garantire l’assistenza ospedaliera, ma soprattutto per sostenere la riforma del territorio prevista dal Pnrr, basata su Case di comunità, ambulatori e una rete diffusa di medicina di base.
“Se non assumiamo medici di medicina generale, pediatri e specialisti ambulatoriali interni — avverte Magi — le Case di comunità resteranno vuote. Non basta costruire le strutture: servono professionisti per farle funzionare”. L’appello è chiaro: occorre rivedere le politiche di reclutamento e destinare risorse mirate non solo agli ospedali, ma soprattutto al territorio, dove si gioca la partita della prevenzione, della cronicità e dell’accessibilità delle cure.
I numeri parlano da soli. Degli oltre 415.000 medici attivi, quasi 100.000 lavorano fuori dal Ssn, quasi 40.000 all’estero e oltre 40.000 sono liberi professionisti senza alcun legame con il sistema pubblico. A questi si aggiungono i quasi 19.000 che operano esclusivamente in strutture private non accreditate. Il risultato è un sistema pubblico già oggi sotto pressione, destinato a reggere sempre meno di fronte all’invecchiamento della popolazione e all’aumento delle patologie croniche.
Il territorio non può aspettare
La riforma sanitaria del Pnrr punta a spostare il baricentro dell’assistenza dal nosocomio al territorio, ma senza personale qualificato questa visione rischia di rimanere sulla carta. Le Case di comunità, previste in ogni distretto sanitario, richiedono medici di base, pediatri e specialisti ambulatoriali in numero adeguato. Eppure, negli ultimi decenni, le assunzioni si sono concentrate quasi esclusivamente negli ospedali, lasciando il territorio in stato di abbandono strutturale.
Antonio Magi sottolinea che il problema non è solo quantitativo, ma anche distributivo: “Non possiamo continuare a formare medici solo per il pronto soccorso o la chirurgia, se poi mancano quelli che seguono il paziente a casa, nel suo contesto di vita”. Il rischio è una sanità a due velocità: d’élite per chi può permettersi il privato, e sempre più inaccessibile per chi dipende dal pubblico.
Secondo il Centro studi Fnomceo, servirebbe un piano straordinario di assunzioni, accompagnato da incentivi per attrarre i giovani medici verso la medicina territoriale — una scelta spesso considerata meno prestigiosa rispetto all’ospedale. Ma anche questo non basterà se non si affronta il nodo della fuga all’estero, alimentata da stipendi bassi, carichi di lavoro insostenibili e condizioni di lavoro precarie.
Una crisi annunciata
La carenza di medici non è un’emergenza improvvisa, ma il risultato di scelte politiche protratte per anni. Il blocco del turnover, i tagli al personale sanitario e la mancata programmazione delle specializzazioni hanno creato un deficit strutturale. Oggi, con l’onda d’urto delle pensioni in arrivo, il conto è arrivato: e a pagarlo saranno i cittadini, soprattutto nelle aree interne e rurali, dove trovare un medico di famiglia è già un’impresa.
Magi non esclude scenari drammatici: “Se non interveniamo subito, entro pochi anni molte zone del Paese rischiano di rimanere senza alcuna assistenza primaria. Non stiamo parlando di servizi di lusso, ma del diritto fondamentale alla salute”. L’appello è rivolto al governo, ma anche alle Regioni, chiamate a implementare concretamente il Pnrr e a investire sul capitale umano, non solo sulle infrastrutture.

