L’Antitrust sanziona Apple e Samsung per software ingannevoli

24 ottobre 2018

Antitrust, sanziona Apple e Samsung per software ingannevoli Multe per 15 milioni di euro Roma, 24 ott. (askanews) – L’Antitrust ha sanzionato Apple e Samsung per 15 milioni di euro complessi per pratiche commerciali scorrette “in relazione al rilascio di alcuni aggiornamenti del firmware dei cellulari che hanno provocato gravi disfunzioni e ridotto in modo significativo le prestazioni, in tal modo accelerando il processo di sostituzione degli stessi”.

Secondo l’Autorità le società hanno “indotto i consumatori – mediante l’insistente richiesta di effettuare il download e anche in ragione dell’asimmetria informativa esistente rispetto ai produttori – ad installare aggiornamenti su dispositivi non in grado di supportarli adeguatamente, senza fornire adeguate informazioni, né alcun mezzo di ripristino delle originarie funzionalità dei prodotti”. In particolare, Samsung “ha insistentemente proposto, dal maggio 2016, ai consumatori che avevano acquistato un Note 4 (immesso sul mercato nel settembre 2014) di procedere ad installare il nuovo firmware di Android denominato Marshmallow predisposto per il nuovo modello di telefono Note 7, senza informare dei gravi malfunzionamenti dovuti alle maggiori sollecitazioni dell’hardware e richiedendo, per le riparazioni fuori garanzia connesse a tali malfunzionamenti, un elevato costo di riparazione”.

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Quanto a Apple, “essa ha insistentemente proposto, dal settembre 2016, ai possessori di vari modelli di iPhone 6 (6/6Plus e 6s/6sPlus rispettivamente immessi sul mercato nell’autunno del 2014 e 2015), di installare il nuovo sistema operativo iOS 10 sviluppato per il nuovo iPhone7, senza informare delle maggiori richieste di energia del nuovo sistema operativo e dei possibili inconvenienti – quali spegnimenti improvvisi – che tale installazione avrebbe potuto comportare. Per limitare tali problematiche, Apple ha rilasciato, nel febbraio 2017, un nuovo aggiornamento (iOS 10.2.1), senza tuttavia avvertire che la sua installazione avrebbe potuto ridurre la velocità di risposta e la funzionalità dei dispositivi”.

Inoltre, Apple, prosegue l’Antitrust, “non ha predisposto alcuna misura di assistenza per gli iPhone che avevano sperimentato problemi di funzionamento non coperti da garanzia legale, e solo nel dicembre 2017 ha previsto la possibilità di sostituire le batterie ad un prezzo scontato”. Nei confronti di Apple è stata accertata una seconda condotta in violazione del Codice del Consumo “in quanto la stessa, fino a dicembre 2017, non ha fornito ai consumatori adeguate informazioni circa alcune caratteristiche essenziali delle batterie al lito, quali la loro vita media e deteriorabilità, nonché circa le corrette procedure per mantenere, verificare e sostituire le batterie al fine di conservare la piena funzionalità dei dispositivi”.

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Alle due imprese sono state applicate sanzioni pari al massimo edittale, tenuto conto della gravità delle condotte e della dimensione dei professionisti: a Samsung 5 milioni di euro e ad Apple 10 milioni di euro (5 milioni per ciascuna delle due pratiche contestate). Entrambe le imprese dovranno inoltre pubblicare sulla pagina in italiano del proprio sito internet una dichiarazione rettificativa che informi della decisione dell’Autorità con il link al provvedimento di accertamento. Nel corso dell’attività ispettiva, i funzionari dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato si sono avvalsi dell’ausilio del Nucleo speciale Antitrust della Guardia di Finanza.

Cosa è l’obsolescenza programmata

L’obsolescenza programmata e’ una pratica con la quale le imprese riducono deliberatamente il ciclo vitale di un prodotto: peggiora le prestazioni o cessa di funzionare del tutto dopo un periodo di tempo piu’ o meno definito. Per questo motivo l’Antitrust ha multato per 10 milioni di euro Apple e per 5 milioni Samsung: i loro aggiornamenti hanno provocato gravi inconvenienti. Di obsolescenza programmata si parla soprattutto a proposito di dispositivi elettronici. Ma e’ un concetto che nasce quando smartphone e pc erano ancora lontani.

L’obsolescenza programmata affonda le proprie radici tra gli anni ’20 e ’30. L’espressione risale al 1932. A usarla e’ Bernand London, un mediatore immobiliare americano, nel saggio “Ending the Depression Through Planned Obsolescence”. Avanza una proposta: il governo dovrebbe imporre ai produttori un ciclo di vita limitato per rilanciare i consumi. E’ una delle ricette per riemergere dalla grande depressione. La pratica, pero’, era gia’ stata utilizzata prima che qualcuno le desse un nome. Nel 1924, i maggiori produttori occidentali si accordarono per limitare a mille ore l’efficacia delle lampadine a incandescenza. Un vincolo artificiale, necessario per imporre un ricambio e stimolare nuovi acquisti.

Negli anni ’30, l’azienda chimica DuPont creo’ il nylon e, grazie a questa nuova fibra,inizio’ a produrre calze femminili piu’ resistenti. Troppo. Tanto da ordinare ai suoi tecnici di indebolirla. Se le calze non si smagliano, nessuno ne acquista di nuove e gli affari peggiorano. Nel 1954, il designer Brooks Stevens da’ una nuova accezione di obsolescenza programmata: e’ la capacita’ di “instillare nel consumatore il desiderio di comprare qualcosa di un po’ piu’ nuovo e appena migliore poco prima che sia necessario”. In questa accezione, c’e’ una componente psicologia e non solo tecnologica. Anche in questo caso, la definizione arriva dopo la prassi: gia’ negli anni ’20 General Motors aveva scelto di aggiornare ogni anno i propri modelli. Non perche’ fosse necessario ma per far apparire i prodotti gia’ in commercio piu’ vecchi e spingere gli automobilisti all’acquisto. L’idea era stata del ceo Alfred Sloan.

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Dalle auto ai televisori, i prodotti “a tempo” hanno attraversato l’ultimo secolo. Il termine obsolescenza programmata si e’ pero’ imposto con maggiore forza nel mercato dei dispositivi elettronici. Gia’ nel 2005 una class action aveva preso di mira Apple perche’ la batteria degli iPod prodotti prima del 2004 incorreva in un ripido calo delle prestazioni. Sempre la Mela, suo malgrado, ha contribuito a ridare luce all’obsolescenza programmata alla fine del 2017: la durata delle batterie degli iPhone piu’ datati peggiorava dopo aver installato gli aggiornamenti piu’ recenti. Apple ha ammesso il problema, ma ha sempre rifiutato di averlo fatto apposta. Si sarebbe trattato di un sovraccarico: stessa auto, alimentata con un carburante nuovo che, al posto di spingerla, la rallenta. Il gruppo di Cupertino ha prima offerto la sostituzione delle batterie a prezzi scontati. Poi, all’inizio del 2018, ha rilasciato un aggiornamento software per risolvere il problema.

LEGGI E DIRETTIVE IN EUROPA

Il calo delle batterie ha attirato su Apple una serie di cause, negli Stati Uniti, in Israele e in Francia, dove sono ancora in corso indagini. L’antitrust italiano ha comminato la primo una multa, ma non e’ l’unica istituzione a essersi mossa. Parigi si e’ dimostrata particolarmente attenta. Gia’ dal 2015, la legge Hamon proibisce l’obsolescenza programmata (con multe fino a 300.000 euro) e obbliga a una garanzia di almeno due anni. All’inizio del 2018, il governo francese ha proposto un’etichetta che indica, da 1 a 10, la durata dei prodotti elettronici. I consumatori devono sapere, al momento dell’acquisto, quanto il dispositivo potrebbe durare. Non e’ ancora un obbligo (lo sara’ dal 2020). Al momento solo le imprese volontarie potranno decidere se appiccicare l’etichetta sulle proprie confezioni. Una fondazione spagnola, la Feniss (Foundation for Energy and Sustainable Innovation Without Planned Obsolescence) rilascia un bollino (chiamato Issop) con il quale certifica la correttezza delle imprese.

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Nel dicembre 2016, Belgio, Lussemburgo e Olanda hanno firmato una direttiva comune per aumentare la collaborazione e accelerare la transizione all’economia circolare tra il 2017 e il 2020. Tra le altre cose, l’accordo prevede di stimolare la “riparabilita’” dei prodotti e di “lottare contro l’obsolescenza programmata”. Nel giugno 2017, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che invita la Commissione a “proporre una definizione a livello di UE di obsolescenza programmata per prodotti tangibili e software, ad esaminare la possibilita’ di istituire un sistema indipendente in grado di testare e rilevare l’obsolescenza incorporata nei prodotti” e “chiede adeguate misure dissuasive per i produttori”. Il Parlamento “osserva che la possibilita’ di upgrading dei prodotti puo’ rallentare l’obsolescenza di questi ultimi e ridurre l’impatto ambientale e i costi sostenuti dagli utilizzatori”. La risoluzione chiede poi agli sviluppatori di software “maggiore trasparenza” e “aggiornamenti reversibili”.

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