Made in Italy sotto attacco: Meloni sfida Bruxelles sulla transizione verde
La premier a Confindustria: “Scelte suicide che favoriscono solo la Cina”
Giorgia Meloni
Giorgia Meloni rompe gli indugi e dichiara guerra alle politiche ambientali europee. Dal palco dell’Assemblea di Confindustria, la presidente del Consiglio ha sferrato un attacco frontale contro la transizione verde made in Brussels, accusando l’Unione Europea di aver messo in ginocchio l’industria italiana per favorire i competitor cinesi. “Bisogna avere il coraggio di contestare e correggere un approccio ideologico alla transizione ambientale che ha provocato danni enormi senza portare i vantaggi che venivano decantati”, ha tuonato la premier davanti a una platea di imprenditori che da mesi denuncia gli effetti devastanti delle normative Ue.
L’affondo: “Europa suicida, Cina ringrazia”
Il colpo più duro Meloni lo ha riservato alla strategia europea sull’automotive elettrico. “Una tecnologia non si cambia per norma”, ha dichiarato senza mezzi termini, “ma è esattamente quello che l’Europa ha fatto negli ultimi anni, scegliendo la strada forzata verso l’elettrico le cui filiere sono in larga parte controllate dalla Cina”. Un j’accuse che mette a nudo la contraddizione di fondo delle politiche Ue: mentre Bruxelles predica autonomia strategica, nei fatti sta consegnando interi settori industriali nelle mani di Pechino. “Ancora oggi non riesco a capire il senso strategico di fare una scelta del genere”, ha rincarato la dose la premier.
Dall’automotive al lusso: tutto il made in Italy a rischio
I numeri parlano chiaro: l’Italia rischia di vedere smantellati settori dove eccelle da decenni. Dalla Ferrari alla Lamborghini, da Ducati alle migliaia di piccole e medie imprese della componentistica auto, un’intera filiera che dà lavoro a centinaia di migliaia di persone rischia di essere spazzata via dall’integralismo verde di Bruxelles. Ma il danno non si ferma alle quattro ruote. La meccanica di precisione, la chimica industriale, persino settori apparentemente lontani come il lusso e la moda – che dipendono dalla logistica e dai trasporti – potrebbero pagare il prezzo di scelte ideologiche camuffate da ambientalismo.
Meloni punta il dito
La parte più dura del discorso di Meloni è arrivata quando ha puntato il dito contro i responsabili di quello che ha definito un vero e proprio sabotaggio dell’industria europea. “Alcune scelte sono state fatte per anteporre l’ideologia al realismo, con un risultato scontato ma che molti di noi avevano denunciato”, ha dichiarato la premier. E poi l’affondo finale: “Qualcuno ha scelto deliberatamente di mettere fuori mercato i nostri prodotti inseguendo scelte nemiche dell’industria europea. Oggi tutti disconoscono la paternità di quelle scelte che hanno però nomi e cognomi precisi”. Un attacco diretto che arriva dopo mesi di crescente tensione tra Roma e Bruxelles su dossier cruciali per l’economia italiana.
La rivolta degli imprenditori
Le parole di Meloni hanno trovato terreno fertile tra gli industriali presenti a Bologna. Non è un caso che l’intervento sia avvenuto proprio all’Assemblea di Confindustria, dove da mesi si moltiplicano gli allarmi per un approccio europeo giudicato “suicida” dalle associazioni di categoria. L’automotive è solo la punta dell’iceberg: dalle acciaierie alle raffinerie, dal tessile alla chimica, tutti i settori industriali italiani stanno facendo i conti con normative che sembrano progettate più per distruggere che per innovare. La carta cinese nell’energia verde
Dietro la critica di Meloni c’è una realtà che fa male: mentre l’Europa si autoimpone vincoli sempre più stringenti, la Cina sta conquistando posizioni dominanti in tutti i settori della cosiddetta transizione verde. Dalle batterie per auto elettriche ai pannelli solari, dalle terre rare indispensabili per l’hi-tech ai chip di nuova generazione, Pechino controlla ormai filiere strategiche che l’Occidente ha scientemente abbandonato. Il risultato? L’Europa paga due volte: prima smantella la propria industria, poi deve comprare dalla Cina i prodotti “verdi” per rispettare le proprie normative ambientali. Un paradosso che rischia di costare carissimo al Made in Italy.
La sfida: salvare l’eccellenza italiana
Ora la sfida è aperta. Meloni ha lanciato il guanto di sfida a Bruxelles, chiedendo un cambio di rotta radicale che metta al centro la competitività industriale europea invece dell’ideologia ambientalista. Una battaglia cruciale per il futuro del Made in Italy, che non può permettersi di vedere scomparire decenni di eccellenza manifatturiera sull’altare di un ambientalismo di facciata che favorisce solo i competitor extraeuropei. La partita è appena iniziata, ma le carte in tavola sono chiare: o l’Europa cambia strada, o rischia di diventare il museo industriale del mondo mentre Cina e Stati Uniti si spartiscono i mercati del futuro.