Morte di re Abdullah, nuova incognita per Usa (VIDEO)

La morte del re saudita Abdullah aggiunge un altro elemento d’incertezza in una regione già attraversata da crisi e rivolte, che preoccupa gli Stati Uniti. Inizialmente potrebbero attenuarsi le recenti tensioni con Washington, ma la transizione, nel lungo periodo, potrebbe condurre la nuova leadership politica a modificare il suo rapporto con le altre potenze dell’area e anche con Washington. A parlarne sono il New York Times e il Wall Street Journal. Il regno, entrando in un periodo di transizione, potrebbe sentirsi più vulnerabile, scegliendo di conseguenza di mostrarsi al mondo ancora molto legato agli Stati Uniti. Nel lungo periodo, invece, quella che il diplomatico Dennis Ross definisce “leadership collettiva” potrebbe ridurre la capacità di Riad di agire con decisione sui temi più importanti e delicati, per esempio i rapporti con Iraq e Iran, l’avanzata dell’Isis e la politica energetica.

Re Abdullah è stato ricordato “come un amico” dal vicepresidente degli Stati Uniti, Joe Biden; visto come un riformatore e uno stretto alleato dell’America, una volta diventato re – con il passare degli anni – ha mostrato invece di essere un sovrano capace di reprimere il suo popolo e di criticare Washington, per esempio per “l’occupazione illegittima” dell’Iraq. La recente condanna a mille frustate e a dieci anni di carcere di un blogger per aver offeso l’Islam su internet ha sollevato l’indignazione e la condanna di tutto l’Occidente, compresa quella del dipartimento di Stato americano. Il mancato intervento americano in Siria e l’avvicinamento di Washington all’Iran per trovare un accordo sul nucleare hanno mostrato la recente debolezza del rapporto tra Stati Uniti e Arabia Saudita, non più certa di poter contare sul suo più stretto alleato degli ultimi decenni.

Il nuovo re, il 79enne principe Salman bin Abdul Aziz – fratellastro di Abdullah – ha assicurato continuità nella politica del Regno, che sta affrontando sfide molto impegnative. Anche se l’Arabia Saudita ha generalmente preferito la diplomazia all’azione, ha assunto un approccio più ‘muscolare’ dalla Primavera araba, offrendo un sostegno generoso agli alleati, come l’Egitto, e lavorando contro i suoi nemici, come il presidente siriano, Bashar al-Assad, e la Fratellanza musulmana. La nuova leadership pone due domande, secondo il Wall Street Journal. La prima riguarda la rischiosa strategia in atto sul petrolio, il cui prezzo è crollato negli ultimi mesi, per mettere in difficoltà molti altri produttori, tra cui l’Iran. La seconda, legata comunque alla prima, riguarda la volontà dell’Arabia Saudita di portare avanti il braccio di ferro con il regime sciita iraniano per l’egemonia nel mondo musulmano. Riyad cercherà lo scontro o proverà ad allentare le tensioni? Nel frattempo, ai confini, c’è un altro Paese nel caos, lo Yemen, dove avanzano i ribelli sciiti.

Segui ilfogliettone.it su facebook
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Se avete correzioni, suggerimenti o commenti scrivete a redazione@ilfogliettone.it
Condividi
Pubblicato da