Un lampo arancione squarcia il cielo terso di una tranquilla domenica mattina, immortalato dalla telecamera di un’automobile che percorre le strade del centro di Sumy. In un istante, la normalità si frantuma. Due boati assordanti, due missili balistici russi Iskander si abbattono con precisione letale, trasformando la Domenica delle Palme – giorno di festa e riflessione per i cristiani – in un incubo di morte e distruzione. Il bilancio è agghiacciante: almeno 34 morti, tra cui due bambini, e oltre 120 feriti, di cui 15 minori. La città, a 40 chilometri dal confine con la Russia, piomba nel caos, mentre il mondo guarda attonito l’ennesima ferita inferta all’Ucraina.
L’attacco, avvenuto intorno alle 10, ha preso di mira il cuore pulsante di Sumy, nel nord-est del Paese. Secondo l’intelligence di Kiev, i missili sono stati lanciati dalle regioni russe di Voronezh e Kursk, aree strategiche per le operazioni di Mosca. Il primo Iskander ha devastato un centro congressi dell’Università di Sumy, un luogo che avrebbe dovuto ospitare uno spettacolo teatrale, simbolo di una comunità che, nonostante la guerra, cercava di preservare sprazzi di normalità. Il secondo missile ha colpito un filobus a circa 200 metri di distanza, amplificando l’orrore.
Almeno 20 edifici – tra cui quattro scuole, negozi e auto parcheggiate – sono stati ridotti in macerie o gravemente danneggiati. Le immagini diffuse dai media locali mostrano colonne di fumo nero che si levano nel cielo, vetri infranti, passanti in fuga e veicoli che invertono la marcia nel panico. Corpi coperti da lenzuola argentate giacciono lungo le strade, mentre i soccorritori, con il volto segnato dalla fatica, scavano tra i detriti alla ricerca di superstiti.
“Solo un bastardo può fare una cosa simile”, ha dichiarato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky in un messaggio su Telegram, la voce carica di rabbia e dolore. Per il leader di Kiev, questo non è solo l’attacco più grave contro i civili nel 2025, ma un atto di “terrorismo deliberato” che calpesta la solennità della Pasqua e prende a schiaffi gli sforzi diplomatici per un cessate il fuoco. “I missili nemici colpiscono una normale strada cittadina, la vita di tutti i giorni, in un giorno in cui le persone vanno in chiesa per celebrare la Domenica delle Palme, l’ingresso del Signore a Gerusalemme”, ha aggiunto, rivolgendo un appello accorato agli Stati Uniti, all’Europa e al resto del mondo per una “reazione dura e immediata”.
Le ricostruzioni parlano di un raid calcolato per massimizzare il danno umano. Il capo dell’amministrazione regionale di Sumy, Volodymyr Artyukh, ha confermato che almeno uno dei missili era equipaggiato con munizioni a grappolo, progettate per esplodere in aria e spargere schegge letali su un’area vasta. “I muri sono tagliati come carta”, ha detto Artyukh in un’intervista televisiva, descrivendo la devastazione. Andriy Yermak, capo dell’ufficio presidenziale ucraino, ha aggiunto: “I russi usano queste armi per uccidere il maggior numero possibile di civili. È la loro strategia”. Le immagini che arrivano da Sumy sono strazianti. Un video mostra una madre in lacrime che stringe il corpo di un bambino, mentre un altro riprende un soccorritore che trasporta una ragazza ferita verso un’ambulanza.
I giornalisti sul posto descrivono scene di disperazione: una donna anziana, immobile, fissa le rovine di quella che era la sua casa; un uomo, con il volto coperto di polvere, cerca di aiutare un vicino intrappolato. Tra le macerie, un simbolo emerge intatto: la bandiera ucraina, blu e gialla, sventola ancora su un edificio sventrato, emblema di una resistenza che non si arrende.
L’attacco di Sumy arriva in un momento delicato. Solo pochi giorni fa, l’inviato statunitense Steve Witkoff aveva incontrato Vladimir Putin a Mosca per negoziare una possibile tregua parziale, un segnale di apertura da parte dell’amministrazione Trump, che finora aveva mantenuto un approccio dialogante con il Cremlino. Ma il raid della Domenica delle Palme cambia le carte in tavola. Persino Washington, solitamente cauta, ha dovuto alzare la voce. “L’attacco delle forze russe su target civili a Sumy ha superato i limiti della decenza”, ha dichiarato Keith Kellogg, inviato della Casa Bianca in Ucraina. Un’ammissione che segna una svolta, almeno retorica, rispetto ai toni concilianti delle ultime settimane.
La condanna internazionale è stata unanime e immediata. La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha definito l’attacco “barbaro” e ha invocato “misure forti per imporre un cessate il fuoco”. Le fa eco la premier italiana Giorgia Meloni: “Nel giorno sacro della Domenica delle Palme, a Sumy si è consumato un altro orribile e vile attacco russo, che ha causato ancora una volta vittime innocenti, tra cui bambini. Queste violenze contraddicono ogni reale impegno di pace”. Condanne analoghe sono arrivate da Olaf Scholz, Keir Starmer ed Emmanuel Macron, che ha accusato Mosca di proseguire la guerra “senza alcun riguardo per le vite umane”. La portavoce ad interim della NATO, Allison Hart, ha espresso solidarietà: “Scene orribili dal centro di Sumy. I nostri pensieri sono con il popolo ucraino in questo giorno sacro”.
Sumy, una delle principali città ucraine con una popolazione di circa 260.000 abitanti, si trova in una posizione strategicamente vulnerabile, a pochi chilometri dal confine russo. Negli ultimi tre anni di guerra, è stata bersaglio di raid aerei e missilistici, ma finora era stata risparmiata dai combattimenti terrestri che infuriano nel Donbass e nel sud del Paese. Tuttavia, da settimane Kiev lancia l’allarme su un possibile piano di Mosca per aprire un nuovo fronte al nord, con l’obiettivo di creare una zona cuscinetto a protezione della regione russa di Kursk, in parte ancora occupata dalle forze ucraine. Un’eventuale offensiva in questa zona rappresenterebbe un incubo per l’Ucraina, già stremata da una guerra di logoramento e dipendente dagli aiuti militari occidentali.
L’attacco di Sumy sembra confermare i timori di Kiev. Fonti dell’intelligence ucraina suggeriscono che il raid potrebbe essere un segnale della volontà di Putin di intensificare la pressione sul nord-est, costringendo l’esercito ucraino a disperdere le proprie risorse. Nel frattempo, le autorità locali rinnovano gli appelli alla popolazione: restare uniti, resistere, non cedere. “La nostra forza è nella nostra gente”, ha dichiarato il governatore Artyukh, mostrando la bandiera ucraina intatta tra le rovine come un faro di speranza.
La strage di Sumy getta un’ombra lunga sugli sforzi diplomatici. La proposta di tregua avanzata da Washington, accolta con favore da Kiev ma ristretta da Mosca, appare sempre più fragile. L’accordo, avallato dagli Stati Uniti, esclude dalle operazioni belliche il Mar Nero e le infrastrutture energetiche, ma non sembra fermare la violenza contro i civili. “Il presidente Trump aveva detto: ‘Voglio che le uccisioni finiscano’. Ma questo cessate il fuoco non riguarda le persone, riguarda il petrolio”, ha confidato un’alta fonte diplomatica occidentale, che ha chiesto l’anonimato. “Il messaggio implicito è: potete continuare a uccidere, purché non tocchiate le raffinerie”.
La rabbia cresce tra i Paesi della coalizione che sostiene l’Ucraina, circa 30 nazioni che lavorano per garantire sicurezza a Kiev in vista di un possibile accordo di pace. Londra e Parigi, in particolare, spingono per un cambio di passo. Durante l’ultimo incontro NATO, le due capitali hanno proposto un piano per inviare truppe a garanzia di una tregua, qualora si raggiungesse un cessate il fuoco credibile. “Non possiamo più aspettare un accordo perfetto tra Russia e Ucraina. Basta un’intesa minima, e Francia e Regno Unito sono pronte a mettere gli scarponi sul terreno”, ha rivelato una fonte diplomatica alleata.
Nel frattempo, l’Europa si prepara a discutere la crisi ucraina al Consiglio Affari Esteri di Lussemburgo, con il ministro degli Esteri di Kiev, Andrei Sibiha, in collegamento. La segretaria del Partito Democratico italiano, Elly Schlein, ha ribadito il sostegno a Kiev: “L’ennesima barbarie russa contro i civili ucraini deve spingere l’Europa a sostenere l’Ucraina fino a una pace giusta, che non sia una resa all’aggressore”.
Mentre Sumy piange le sue vittime, il mondo si interroga su come fermare l’orrore. Per Zelensky, la risposta è chiara: “Senza pressione sull’aggressore, la pace è impossibile. I colloqui non fermano i missili”. La tragedia della Domenica delle Palme potrebbe segnare un punto di svolta, costringendo l’Occidente a riconsiderare la propria strategia. Ma il tempo stringe, e ogni giorno porta nuove cicatrici. A Sumy, tra le rovine, la bandiera ucraina resiste. Ma basterà il suo simbolo a tenere accesa la speranza?