Nazione rigorosamente al posto di Paese, l’esaltazione degli italiani brava gente all’estero che però, paradossalmente, non capiscono il loro valore quando sono all’interno dei propri confini, linguaggio improntato a quella retorica patriottica che le è particolarmente congeniale. E’ il ‘Natale in missione’ di Giorgia Meloni che ha scelto di andare in Iraq, dove l’Italia guida un importante contingente di pace della Nato, per portare gli auguri e la vicinanza del governo ai militari e ai diplomatici impegnati in una terra complicata.
Due tappe, la prima a Baghdad, dove la presidente del Consiglio ha avuto un colloquio sia con il primo ministro della Repubblica irachena, Mohammed Shia al-Sudani, che con il neo presidente Abdul Latif Rashid, oltre al presidente del Parlamento. Occasioni nelle quali ha spiegato l’importanza di un “Iraq forte” per avere “stabilità e prosperità in Medio Oriente” e il sostegno italiano a 360 gradi “nella sua rinascita”. “L’Iraq è una nazione che ha compiuto importanti passi avanti sul piano della sicurezza e della stabilità politica e che dal nostro punto di vista può guardare con ottimismo alla ricostruzione”, ha osservato. Meloni ha voluto anche ringraziare le autorità locali per aver reso il 25 dicembre giorno di festa nazionale, “un importante segnale di grande rispetto della libertà religiosa e verso i cristiani presenti nel paese”. Seconda tappa a Ebril, dove la presidente del Consiglio ha incontrato il primo ministro dell’Autorità regionale curda, Masrour Barzan.
Ma al di là dei rapporti bilaterali, la visita di Meloni è stata soprattutto improntata alla volontà di portare gli auguri del governo ai militari di stanza nelle due città, così come hanno fatto anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani in Libano e quello della Difesa, Guido Crosetto, nei Paesi del fianco Est. Di fronte ai soldati impegnati in missione di pace, indossando la mimetica come hanno già fatto in passato altre cariche dello Stato, Meloni parla di “visita simbolica” con la quale, in un periodo particolare come quello delle feste, “è importante – se è vero che la patria è una madre – che la madre ci sia”. “Ci tenevo a portare il ringraziamento della nazione che io e voi rappresentiamo, per il lavoro che fate, per i sacrifici che fate, per come riuscite con il vostro lavoro e la vostra dedizione” a dare all’Italia “uno straordinario lustro e grandi opportunità”, ha aggiunto.
La parola casa ritorna più volte nei vari interventi della premier. Anche quando dona lo stemma di palazzo Chigi ai militari a Baghdad. “Spero che anche questo nel piccolo possa farvi sentire un po’ a casa perché casa non dimentica”. Così come si riaffaccia spesso il concetto di distanza fisica che però non è distanza di affetti. “I sacrifici che fate non sono ovviamente una cosa facile, lo avete fatto per scelta, e quella scelta è una scelta d’amore. Questo dimostra – dice – che siete persone libere perché, dice il filosofo Gustave Thibon, che l’uomo non è libero nella misura in cui non dipende da niente e da nessuno ma è libero nell’esatta misura in cui dipende da ciò che ama ed è schiavo nell’esatta misura in cui dipende da ciò che non può amare”.
La premier finisce anche per commuoversi quando i militari le fanno dono di un tricolore con tutte le loro firme e di un ritratto-mosaico in cui ogni tassello è il volto di un soldato di stanza in Iraq. In tutto questo afflato patriottico, c’è però tempo anche per una polemica. Perché a guardare le foto che ritraggono la premier accanto al suo omologo iracheno pare proprio che il rosso sia molto tendente all’arancione, più bandiera irlandese che italiana. Gaffe dei padroni di casa? L’ambasciata italiana a Baghdad nega: “Solo un effetto ottico”.