Politica

Nel Pd si prepara l’offensiva d’autunno per frenare Renzi

C’è una frase ricorrente, che puntualmente viene pronunciata, nelle chiacchierate di questi giorni con i parlamentari Pd: “Vedrete, a settembre succederà qualcosa…”. Matteo Renzi, pubblicamente, ostenta distacco dai rumors di Palazzo, gira l’Italia per presentare il suo libro ‘Avanti’ e si tiene alla larga dalle polemiche. Ma il suo Pd ribolle, i segnali di fibrillazione aumentano e ormai in molti assicurano che, appunto, “a settembre” ci saranno fatti nuovi. Dario Franceschini ha preso le distanze dal suo ex braccio destro Piero Martino che ha deciso di traslocare in Mdp, ma chi ci ha parlato assicura che non intende indietreggiare di un millimetro rispetto alle critiche avanzate a Renzi. Andrea Orlando, poi, ha appena presentato il simbolo della sua associazione ‘Dems’, aperta anche a chi non è iscritto al Pd, e ha annunciato una proposta di legge che vada nel senso del premio alla coalizione. Sono loro gli uomini a cui tutti guardano in queste settimane, quelli che “a settembre”, proveranno a lanciare da dentro il Pd – ma con interlocutori anche esterni come Giuliano Pisapia – una vera e propria offensiva per costringere Renzi a cambiare rotta, per far uscire il partito da quello che viene considerato un “isolamento” esiziale. Qualcuno, senza mezzi termini, dice: “Renzi va fermato, vuole un partito in cui comanda da solo con il quale sedersi al tavolo del governo con Fi dopo il voto. Ma questo non è il Pd…”. Il terreno di battaglia sarà innanzitutto quello della legge elettorale e la resa dei conti vera e propria sarebbe fissata in autunno, subito dopo il voto siciliano. L’obiettivo, dicono molti parlamentari Pd, è convincere Renzi a fare almeno un “passo indietro”. Non tanto dalla segreteria del partito, quanto da aspirante candidato premier, da leader unico di un centrosinistra che ormai non si riconosce in lui.

“Franceschini e Orlando – spiega un deputato Pd – proveranno l’affondo sulla legge elettorale, cercheranno di giocare di sponda con chi, come Forza Italia, chiede un premio alla coalizione”. Renzi, finora, ha chiuso la parta, il sa che la coalizione serve soprattutto a “confinarlo” al ruolo di leader di un Pd ridimensionato, non più unico punto di riferimento del centrosinistra. Per questo dice che nuovo accordo si può fare solo con il sì di tutte le forze principali, ovvero Pd e Fi, ma anche M5s e Lega. Un modo per provare a bloccare tutto, come ha fatto capere bene lo stesso leader Pd una decina di giorni, fa durante una delle tante presentazioni del suo libro: “La legge elettorale si cambia con il consenso di Berlusconi e di Grillo. Lo dico in particolar modo ai nostri, che hanno la maggioranza in qualche modo in Parlamento. Non vi venga in mente di fare una cosa contro gli altri – non gli è venuto in mente, eh!”. Un avvertimento fin troppo chiaro: nessuno pensi di flirtare con Fi, che appunto chiede un meccanismo di coalizione. Ma proprio questo, spiegano parlamentari Pd, potrebbe accadere a settembre. Orlando ha annunciato il proprio ddl e di fronte ad una proposta di Fi in favore di un premio di coalizione per Renzi sarà meno facile cavarsela dicendo “ci deve stare anche M5s”. Anche perché, rileva sempre il parlamentare Pd, “Orlando e Franceschini insieme hanno un bel pacchetto di parlamentari, i numeri nelle Camere sono diversi da quelli della direzione”. E l’iter della legge potrebbe ripartire dal Senato, dove operazioni trasversali sono più facili per via dei numeri più risicati della maggioranza.

Sullo sfondo, però, c’è di più. “L’associazione Dems di Orlando è la normale organizzazione di una corrente – dice un parlamentare della corrente – ma è chiaro che può tornare utile se le cose dovessero prendere una brutta piega”. Ovvero, se Renzi non dovesse cedere di un millimetro. Anche perché, assicura più d’uno, è concreta l’idea di un soggetto politico “ulivista”, o meglio ancora una specie di Pd 2.0 che nasce a fianco del Pd renziano. Un soggetto nel quale potrebbe avere un ruolo certamente Pisapia, ma non solo. “Abbiamo tante riserve della Repubblica…”, dice un deputato. Romano Prodi ha più volte smentito qualunque suo ruolo attivo o anche semplicemente da regista, ma il suo nome viene evocato in continuazione nelle file anti-renziane del Pd. “Lui può dare, anche senza un coinvolgimento in prima persona, un impulso decisivo ad un nuovo soggetto politico, che verrebbe presentato come un partito che prova a fare quello che il Pd da solo non riesce più a fare: dialogare con tutto quello che c’è intorno a noi”. Un partito che potrebbe innescare altre scissioni, e – nelle intenzioni – togliere parecchi voti al Pd renziano, cambiando gli equilibri nel centrosinistra. La dead-line per tirare le somme, dicono tutti, saranno le regionali siciliane. A quel punto la conferenza programmatica Pd sarà alle spalle, il dibattito sulla legge elettorale avrà preso una piega più chiara e il risultato delle urne in Sicilia – se sarà molto negativo per il Pd – potrà essere l’occasione per l’affondo finale a Renzi. Il segretario, per ora, si limita a tenersi alla larga da tutto questo, per ora sembra non vedere grandi spazi di manovra per chi lo critica. Ma anche tra i suoi c’è chi comincia a pensare che sia il momento di un cambio di passo.

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