Pioggia di razzi su Israele. Hezbollah: “E’ solo l’inizio”
L’organizzazione libanese ha rivendicato la responsabilità dell’attacco
Nelle prime ore del mattino, un’escalation di tensioni ha scosso il Medio Oriente quando almeno 30 razzi sono stati lanciati verso Israele, concentrando i loro obiettivi sulla regione settentrionale del Paese, in particolare la Galilea e le alture del Golan. I rapporti iniziali indicano che alcuni missili hanno colpito il Monte Meron, mentre altri sono stati intercettati dal sistema di difesa antimissile israeliano Iron Dome. L’azione ha innescato le sirene d’allarme, gettando la popolazione nel panico e costringendo i civili a cercare rifugio nei rifugi antiaerei.
Poco dopo, Hezbollah (l’organizzazione paramilitare islamista libanese) ha rivendicato la responsabilità dell’attacco. Il gruppo ha dichiarato di aver preso di mira un’installazione militare israeliana nell’area, definendo l’azione come “una risposta iniziale” al presunto assassinio di Saleh al-Arouri, funzionario di spicco di Hamas, avvenuto in Libano la scorsa settimana. Questo susseguirsi di eventi ha riacceso le fiamme delle tensioni tra le fazioni palestinesi e Israele, aumentando la preoccupazione per un ulteriore deterioramento della stabilità regionale. Il contesto di questo episodio è stato ulteriormente complicato dall’arrivo in Medio Oriente del Segretario di Stato degli Stati Uniti, Antony Blinken, iniziando il suo tour diplomatico che include visite in Israele, nella Cisgiordania occupata e in Qatar.
Blinken incontra Erdogan
E proprio della crisi in Medioriente si è discusso anche a Istanbul, dove il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha ricevuto proprio Blinken che ha “ha sottolineato la necessità di prevenire l’espansione del conflitto e di lavorare per una pace più ampia e duratura che garantisca la sicurezza di Israele e faccia avanzare la creazione di uno Stato palestinese”. Erdogan, da parte sua, ha criticato i continui attacchi israeliani su Gaza per le conseguenze sulla popolazione palestinese. All’incontro ha partecipato anche il ministro turco degli Esteri, Hakan Fidan, che ha sottolineato come la “crescente aggressione israeliana” a Gaza rappresenti “una minaccia per la regione”.
בהמשך להתרעות שהופעלו במרחב הצפון, זוהו כ-40 שיגורים משטח לבנון שחצו לשטח ישראל במרחב מירון. לא זוהו שיגורים או כלי טיס עוין שחצה לשטח ישראל במרחבים אחרים בצפון הארץ.
צה”ל תקף לאחר זמן קצר בשטח לבנון חוליית מחבלים שלקחה חלק בשיגורים pic.twitter.com/vtqyF960hk
— צבא ההגנה לישראל (@idfonline) January 6, 2024
Ankara, ha proseguito Fidan, continua a sostenere la necessità di un cessate il fuoco immediato ed esorta Tel Aviv a iniziare “il prima possibile” i negoziati per una soluzione a due Stati della crisi. Per Blinken si tratta della quarta missione diplomatica nella regione in appena tre mesi. In programma ci sono tappe in Cisgiordania, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Israele, Cisgiordania ed Egitto. Alla vigilia del suo arrivo in Turchia al segretario di Stato americano si è rivolto, in un videomessaggio, il capo dell’ufficio politico di Hamas Ismail Haniyeh, che lo ha esortato a “concentrare la sua visita sulla fine degli attacchi al popolo palestinese e sulla strada per porre fine all’occupazione”.
La tregua subisce una frenata
Sull’onda delle nuove tensioni, compresa l’uccisione di al-Arouri, gli sforzi diplomatici per una nuova tregua hanno registrato una frenata. A Gaza l’operazione israeliana prosegue e continua a mietere vittime. Dall’inizio del conflitto, stando all’ultimo aggiornamento del locale ministero dell’umanità, i palestinesi uccisi hanno superato quota 22mila e 720 unità, cui si aggiungono oltre 58mila e 166 feriti, soprattutto donne e bambini.
L’obiettivo del suo viaggio è quello di chiedere maggiori aiuti umanitari per Gaza e di discutere dei passi necessari per evitare una crescente escalation di violenza nella regione. Tuttavia, le recenti azioni militari e le dichiarazioni provocatorie di Hezbollah rappresentano un nuovo ostacolo significativo per i tentativi di stabilizzare la situazione e di prevenire un’ulteriore escalazione del conflitto.