Regionali 2025, affluenza al 44,7%: oltre 2,3 milioni di elettori restano a casa

Il presidente della Repubblica e il ministro Foti chiedono alla politica di interrogarsi sul calo strutturale della partecipazione. Vittorie annunciate in Veneto, Puglia e Campania hanno scoraggiato la mobilitazione.

Sergio Mattarella

Più di un elettore su due ha disertato le urne nelle sei regioni chiamate al voto negli ultimi mesi del 2025—Veneto, Campania, Puglia, Marche, Toscana e Calabria—con un’affluenza media del 44,7%, in calo di 12,5 punti percentuali rispetto alle precedenti consultazioni regionali. Il dato, elaborato dal deputato Pd Federico Fornaro, fotografa l’astensione di 2.291.000 cittadini e rilancia l’allarme sulla crisi di partecipazione democratica.

Le vittorie annunciate di Stefani in Veneto—erede del governatore leghista Luca Zaia—, di Antonio Decaro in Puglia e di Roberto Fico in Campania, sostenuto dal presidente uscente Vincenzo De Luca, hanno contribuito a scoraggiare la mobilitazione.

Decaro, eurodeputato del Partito Democratico e candidato alla presidenza pugliese, aveva cercato di contrastare l’apatia: “Si vince con i voti, non con i sondaggi”, aveva ripetuto in campagna elettorale, nel tentativo di risvegliare l’elettorato convinto di un esito scontato. La Puglia è governata dal centrosinistra da vent’anni, eredità della cosiddetta “primavera pugliese” che ha consolidato il radicamento territoriale della coalizione.

Già sotto il 50% nelle elezioni autunnali

Il fenomeno non è una novità. Nelle elezioni di settembre e ottobre, Toscana e Calabria avevano registrato affluenze rispettivamente del 47,4% e del 43,15%, entrambe sotto la soglia simbolica del 50%. Nelle Marche, dove a settembre gli elettori avevano confermato il presidente di Fratelli d’Italia Francesco Acquaroli, la partecipazione si era fermata esattamente al 50%. Anche la Valle d’Aosta, chiamata alle urne nello stesso periodo, aveva fatto segnare un calo significativo. La tendenza appare strutturale e trasversale agli schieramenti politici, dal momento che l’astensione ha colpito sia regioni governate dal centrodestra sia quelle amministrate dal centrosinistra.

Il Quirinale: “Non accontentarsi di una democrazia a bassa intensità”

Il presidente della Repubblica ha richiamato più volte l’attenzione sul problema. Pochi giorni fa, intervenendo all’assemblea dell’Associazione nazionale comuni italiani (Anci), ha parlato di “preoccupante flessione dell’esercizio del voto” e ha ammonito: “Non possiamo accontentarci di una democrazia a bassa intensità”.

Il capo dello Stato ha escluso che soluzioni tecniche o meccanismi elettorali possano colmare il deficit di partecipazione: “Questa carenza non potrebbe in alcun modo essere colmata da meccanismi tecnici, che potrebbero anche aggravarla: la rappresentatività è un’altra cosa e va perseguita e coltivata con grande determinazione. La riduzione dell’affluenza alle urne è una sfida per chi crede nel valore della partecipazione democratica dei cittadini”.

Foti: “La politica si chieda perché la gente non vota”

La preoccupazione è condivisa dal ministro per gli Affari europei, Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e Politiche di coesione Tommaso Foti, esponente di Fratelli d’Italia. “Quando vota il 40-42% di media degli elettori, la politica dovrebbe avere il coraggio di chiedersi perché la gente non va a votare”, ha dichiarato Foti. Secondo il ministro, “il tema vero, per tutti, resta capire come riportare gli elettori alle urne e fare delle regionali di nuovo una grande occasione di confronto politico e non soltanto l’elezione amministrativa di un ente più grande”.

L’interrogativo sulla rappresentatività emerge con forza quando i governatori eletti ricevono il mandato di una minoranza degli aventi diritto. La sfida delle prossime elezioni politiche si giocherà sulla capacità dei partiti di riconquistare la fiducia dei 2,3 milioni di cittadini che hanno scelto di non esprimersi. Senza un’inversione di tendenza, il rischio è che il sistema democratico continui a operare con una legittimazione sempre più fragile, alimentando un circolo vizioso tra disaffezione e marginalizzazione del voto.