Ros aggredisce beni Cosa nostra, 9 arresti

Ros aggredisce beni Cosa nostra, 9 arresti
3 dicembre 2019

Cosa nostra di Catania vende parte dei propri beni: le servono soldi per finanziare la ‘famiglia’. Per dirla con Giuseppe Cesarotti, imprenditore intercettato e arrestato dai carabinieri del Ros di Catania, i soldi servono per sostenere chi e’ “nell’altra vita”, con riferimento a Francesco Mangion, boss deceduto per il coinvolgimento del figlio Enzo, e i “sepolti vivi”, identificati con i capimafia ergastolani detenuti Benedetto Santapaola e suo nipote Aldo Ercolano. E’ il quadro che emerge dall’inchiesta ‘Samael’ della Dda della Procura di Catania su Cosa nostra nel capoluogo etneo che ha portato all’arresto di nove persone, tra esponenti della cosca Santapaola-Ercolano, imprenditori e faccendieri e al sequestro di beni per 12,6 milioni di euro, tra immobili e societa’.

Ma, avverte il procuratore Carmelo Zuccaro, “elogiando le indagini del Ros” che proprio oggi ‘compie 29 anni’, “non lasciatevi ingannare dal momento: la mafia catanese e’ sempre feroce e molto pericolosa”. Per il procuratore aggiunto Francesco Puleio nell’inchiesta si “respira aria di alta mafia”. Il ‘faro’ dei militari dell’Arma del Ros e’ acceso da almeno il 2014 sul mondo economico di Cosa Nostra a Catania e sulla famiglia Cesarotti, Giuseppe e Salvatore, padre e figlio di 75 e 54 anni, accusati di essere legati al gruppo Santapaola-Ercolano e legati, in particolar modo, a Giuseppe ‘Enzo’ Mangion, figlio del boss deceduto Francesco che e’ stato per decenni uno dei luogotenenti fidati di Benedetto Santapaola. I tre sono tra gli arrestati. Il certosino lavoro del Ros, presenti alla conferenza stampa con il vice comandante generale, il col. Giancarlo Scafuri, e della Dda di Catania ha ricostruito investimenti, riciclaggio, alienazione di beni riconducibili a Cosa nostra con la complicita’ di imprenditori.

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Come Mario Palermo, di 75 anni, considerato dall’accusa un prestanome del clan e posto agli arresti domiciliari, o Francesco Antonio Geremia, di 59, condotto in carcere che sarebbe stato anche un ‘faccendiere’ a disposizione del clan. L’inchiesta ha fatto luce sull’incendio doloso a un lido balneare a Mascali, il ‘Jaanta Bi’, per estorsione, e sul passaggio di terreni riconducibili a Cosa nostra da agricoli a edificabili. Il Gip, accogliendo la richiesta della Procura, ha disposto il sequestro di 23 villette, 21 delle quali in provincia di Reggio Calabria di proprieta’ della Co.Invest, e di diverse societa’, compresa la LT logistica e trasporti e la G. R. transport logistics specializzata nel deposito ferroviario e trasporto merci che, accusa la Dda, contrastavano “attraverso minacce e intimidazioni” le aziende concorrenti.

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