Editoriale

Schlein e Conte in piazza, ma senza un’idea: la sinistra torna a parlare al vento

Se c’è una cosa che il centrosinistra italiano sa fare bene, è scegliere modi originali per complicarsi la vita. E così, mentre l’Italia guarda con un misto di curiosità e scetticismo ai referendum dei prossimi 8 e 9 giugno, ecco che la coalizione decide di ripartire proprio da lì. Non da una grande idea politica, non da una proposta visionaria o da un programma chiaro, ma da un appuntamento referendario che – lo dicono i sondaggi, lo dice l’esperienza – rischia di trasformarsi in un flop annunciato. Insomma, partire col piede sbagliato? No, decisamente peggio: partire col tacco rotto.

L’egida della Cgil

La cornice è quella di Piazza Vittorio a Roma, dove il “popolo dei referendum” si raduna sotto l’egida della Cgil, con Elly Schlein, Giuseppe Conte e compagnia cantante a fare da testimonial di questa maratona oratoria. Il messaggio è chiaro: “Il voto è libertà”. Ma perché il centrosinistra sembra aver deciso di legare il suo destino a una consultazione che, per sua stessa natura, potrebbe rivelarsi un esercizio di stile più che una vera battaglia politica?
Non si può negare che ci sia un certo fascino nel vedere Elly Schlein arringare la folla contro Matteo Salvini e Ignazio La Russa, citando busti di Mussolini e figli da salvare dal futuro incerto. È retorica pura, certo, ma funziona sempre quando si tratta di smuovere le passioni. Peccato però che, tra bandiere rosse, arcobaleni e vessilli palestinesi, manchi qualcosa di fondamentale: un’idea convincente su come uscire dal pantano in cui il Paese si trova.

Autocritica mascherata da chiamata alle armi

Perché, diciamocelo, battere l’astensionismo e raggiungere il quorum è un obiettivo nobile, ma non basta. Se il centrosinistra vuole davvero ricostruire un’alternativa credibile, deve offrire qualcosa di più di un appello morale al voto. Deve spiegare agli italiani perché vale la pena fidarsi ancora di una coalizione che, negli ultimi anni, ha alternato momenti di lucidità a passi falsi clamorosi. E invece? Invece, siamo qui a parlare di referendum, come se fossero la panacea di tutti i mali. C’è poi un aspetto ironico che non si può ignorare. Il centrosinistra si presenta unito (più o meno) in nome di una battaglia referendaria che, guarda caso, riguarda temi sensibili come il lavoro e la cittadinanza. Temi su cui, proprio il centrosinistra ha commesso errori non indifferenti. Come dire: “Andiamo a votare per correggere gli sbagli che abbiamo fatto noi stessi”. Un’autocritica mascherata da chiamata alle armi, insomma. Un po’ come se un cuoco che ha bruciato la cena invitasse gli ospiti a lodare il profumo delle spezie usate.

Italiani vogliono soluzioni no accuse

E poi c’è il nemico, sempre lui, sempre pronto a fare da contraltare. Salvini che starà coi figli, La Russa che invita all’astensione: bersagli perfetti per polemiche e slogan. Ma è davvero questa la strategia? Combattere l’avversario sul terreno dell’immagine anziché proporre un progetto alternativo? Se il centrosinistra pensa di vincere la partita solo dimostrando quanto siano discutibili i suoi avversari, rischia di ritrovarsi con le mani vuote. Perché gli italiani, si sa, vogliono soluzioni, non solo accuse. In definitiva, questa partenza dal referendum lascia l’amaro in bocca. Non perché l’appello al voto sia sbagliato – anzi, è sacrosanto – ma perché sembra una mossa dettata più dalla necessità di trovare un terreno comune che da una reale convinzione politica.

Se il centrosinistra vuole davvero tornare protagonista, dovrà fare molto di più che riunirsi intorno a un tavolo referendario. Dovrà dimostrare di avere una visione, una leadership e, soprattutto, una capacità di parlare alla pancia del Paese senza cadere nella tentazione del populismo facile. Altrimenti, rischia di rimanere impigliato in quella che sembra già una partenza zoppicante. E, come dicevano i latini, qui bene incipit, dimidium facti habet: chi parte bene, ha già fatto metà dell’opera. Ma se parte male… be’, meglio non pensarci.

Pubblicato da
Gaetano Mineo