Brunetta si aumenta lo stipendio a 310.000 euro, Meloni si irrita. E lui fa marcia indietro: “Revocherò il provvedimento”

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Renato Brunetta

Renato Brunetta non ha perso tempo. Sei settimane dopo la sentenza della Corte Costituzionale che cancella il tetto agli stipendi pubblici, il presidente del Cnel si adegua e porta a casa un aumento del 24,3%: da 250.000 a 310.658 euro lordi annui. La delibera dell’11 settembre include anche gli arretrati da agosto. Un’applicazione così sollecita della giurisprudenza costituzionale che perfino a Palazzo Chigi, secondo indiscrezioni, qualcuno avrebbe storto il naso.

Ma dall’organo di consulenza economica la linea è granitica: nessun privilegio, solo “doverosa applicazione” di una pronuncia che ha ripristinato parametri cancellati dall’austerità. L’ironia della vicenda sta tutta in un dettaglio: fino a marzo 2024 Brunetta, da pensionato, non poteva nemmeno percepire quel compenso. Poi un articolo del decreto Pnrr ha sbloccato la situazione con una norma su misura. Adesso che la Consulta ha fatto saltare il tetto, l’ex ministro – tra i più strenui oppositori del salario minimo a 9 euro lordi l’ora – incassa un emolumento mensile che sfiora i 26.000 euro. Le opposizioni gridano allo scandalo, il governo tace, il Cnel respinge ogni accusa di irregolarità.

La parabola del compenso: da zero a 310 mila in diciotto mesi

La storia inizia nel 2022, quando Brunetta assume la presidenza del Consiglio nazionale dell’Economia e del Lavoro senza percepire un centesimo. Il motivo è cristallino: la legge del 2012 vieta alla pubblica amministrazione di conferire incarichi retribuiti a chi ha già maturato la pensione. Una norma nata per arginare il fenomeno delle cosiddette “doppie poltrone”, molto in voga negli anni precedenti la crisi finanziaria. L’ex ministro si adegua, almeno formalmente. Il Cnel resta un organo poco incisivo nel dibattito pubblico, una presenza istituzionale più evocata che ascoltata.

La svolta arriva nella primavera del 2024. Tra i 44 articoli del decreto Pnrr in discussione alla Camera spunta una deroga che consente a presidente e componenti del Cnel di ricevere un compenso nonostante lo status di pensionati. Il tetto viene fissato al massimo previsto per i dirigenti pubblici: 250.000 euro lordi annui. Nessun comunicato stampa, nessun annuncio solenne. La norma scivola nel fascicolo dei provvedimenti tecnici legati al Piano nazionale di ripresa e resilienza, approvata senza particolare clamore. Da quel momento Brunetta cumula pensione e stipendio, un binomio vietato per legge fino a pochi mesi prima.

La sentenza della Consulta e l’effetto domino sulle retribuzioni

Il 9 luglio 2025 la Corte Costituzionale deposita la sentenza n. 135: il tetto retributivo imposto dal 2011 ai vertici della pubblica amministrazione è illegittimo. La decisione ripristina il parametro di 311.658,53 euro, cancellando di fatto oltre un decennio di vincoli di austerità. La pronuncia ha effetto dal 1° agosto e apre la strada a una revisione generalizzata degli stipendi pubblici ai massimi livelli. Altri enti potrebbero seguire la stessa strada nei prossimi mesi, innescando un effetto domino sui bilanci delle amministrazioni centrali e periferiche.

Il Cnel non si fa attendere. L’11 settembre, appena sei settimane dopo la sentenza, arriva la delibera che adegua il compenso presidenziale al nuovo parametro. L’incremento è di 60.658 euro annui, pari al 24,3%. Il provvedimento ha efficacia retroattiva dal 1° agosto, il che comporta il recupero degli arretrati per i mesi già trascorsi. Non solo: la decisione riguarda anche i componenti dell’organo e i dirigenti apicali, con una lievitazione complessiva della spesa per retribuzioni che supera 1,7 milioni di euro annui. Una cifra che, sommata agli stipendi dello staff aumentati di 200.000 euro, porta il totale vicino ai 2 milioni. 

Cnel respinge le accuse

In una nota diffusa dopo le prime indiscrezioni giornalistiche, il Cnel respinge qualsiasi accusa di discrezionalità: “Il Cnel non ha effettuato alcun adeguamento, ma si è limitato a dare doverosa applicazione alla sentenza della Corte Costituzionale n. 135 del 9 luglio 2025”. L’organo contesta le ricostruzioni della stampa, definendole “una serie di errori – voluti o meno non importa – che complessivamente concorrono a falsare la condotta di assoluta regolarità e legittimità cui il Cnel informa la propria attività”. Fonti interne ribadiscono che la cifra si allinea ai parametri di altri organi costituzionali, pur senza che il Cnel goda dello stesso status formale di Corte dei Conti o Consiglio di Stato.

Intanto, in ambienti di Palazzo Chigi trapela l’irritazione di Giorgia Meloni per la notizia dell’aumento dello stipendio deciso dal presidente del Cnel, Renato Brunetta, avvalendosi della sentenza della Corte Costituzionale di abolire il tetto dei 240mila euro annui per i dirigenti pubblici. Una decisione “non condivisibile”, ritiene la premier così come è “inopportuna” la decisione relativa all’adeguamento del compenso.

Brunetta fa marcia indietro

Quanto basta per far fare marcia indietro a Brunetta che in una nota fa sapere che “come presidente del CNEL, organo di rilievo costituzionale chiamato a dare voce e rappresentare le parti sociali, non voglio in alcun modo che dall’applicazione legittima di una giusta sentenza della Corte Costituzionale derivino strumentalizzazioni in grado di danneggiare la credibilità dell’istituzione che presiedo e, di riflesso, condizionare negativamente il dibattito politico e l’azione del Governo. Per queste ragioni provvederò a revocare con effetto immediato la decisione assunta in Ufficio di Presidenza, relativa al recepimento. Lo faccio con senso di responsabilità e con l’intento di tutelare il prestigio del CNEL, preservando nel contempo un clima di rispetto e collaborazione tra tutte le componenti politiche, istituzionali e sociali”, concluse Brunetta.