Stanzione: no dimissioni Garante Privacy. Ira di Pd e M5S che annunciano interrogazione in Vigilanza Rai
“La politica non è credibile quando grida allo scioglimento”, replica il presidente. La maggioranza non può intervenire, le dimissioni devono essere volontarie.

Il presidente del Garante per la privacy, Pasquale Stanzione, ha respinto con decisione le richieste di dimissioni dell’intero collegio avanzate dalle opposizioni, definendo “totalmente infondate” le accuse di contiguità politica emerse dopo le inchieste del programma “Report”. Nel mirino è finito in particolare il componente Agostino Ghiglia, per i suoi rapporti con Fratelli d’Italia, partito collegato dalla trasmissione alla multa inflitta al programma dopo la diffusione di un audio privato dell’ex ministro Gennaro Sangiuliano.
Le richieste di scioglimento e l’autonomia dell’organismo
Le opposizioni, tra cui Pd, M5S e Alleanza Verdi Sinistra, chiedono lo scioglimento dell’organismo, giudicato ormai privo di credibilità e autonomia. Tuttavia, né il governo né il Parlamento hanno il potere di revocare i componenti, le cui dimissioni possono essere solo volontarie. “Il collegio non presenterà le proprie dimissioni, le accuse sono totalmente infondate”, ha dichiarato Stanzione al Tg1, bollando come “mistificazione” la narrazione di un Garante subalterno al governo.
Stanzione ha ribadito la piena autonomia dell’Istituzione: “Il Garante assume decisioni talvolta contrarie, talvolta favorevoli al governo”. La sua intervista, considerata “indegna” e definita “un comizio in chiave difensiva” da esponenti M5S in Vigilanza Rai, ha scatenato l’ira di Pd, Movimento 5 Stelle e Avs, che annunciano un’interrogazione parlamentare sull’accaduto. Il ministro per gli Affari Europei, Tommaso Foti, ha osservato come l’Autorità sia stata eletta quando Fratelli d’Italia era all’opposizione, sottolineando l’autonomia del processo di nomina.
La proposta di riforma del metodo di elezione
Tra i sostenitori di un cambio di metodo c’è il senatore del Partito Democratico Dario Parrini, vicepresidente della commissione Affari costituzionali. “Sarebbe una scelta di buonsenso fissare la regola per cui non si può diventare membri di un’Autorità indipendente se non si ottiene l’approvazione di almeno i tre quinti degli aventi diritto, come avviene per i membri laici della Corte Costituzionale”, ha spiegato.
Parrini ha ricordato i dati delle elezioni del 2020, sotto il governo Conte: i due componenti eletti al Senato, Ghiglia e Stanzione, ottennero appena 123 e 121 voti, meno del 40% degli aventi diritto. Analogamente, i due eletti dalla Camera, Guido Scorza e Ginevra Cerrina Feroni, ricevettero il consenso rispettivamente del 33% e del 37%.
Lo stallo istituzionale e le posizioni delle opposizioni
La situazione appare in una fase di stallo. Come ha ricordato il giurista Roberto Zaccaria, “l’unica ipotesi è che la maggioranza dei componenti, quindi tre su quattro, si dimetta”. Un paradosso istituzionale evidenziato dall’eurodeputato Pd Sandro Ruotolo: “Abbiamo la possibilità di far dimettere il Capo dello Stato, ma non il collegio del Garante della privacy”. La richiesta delle opposizioni rimane ferma.
Il presidente del M5S Giuseppe Conte, a “DiMartedì” su La7, è stato tranchant: “Noi non trascuriamo nulla, le risultanze che sono uscite ci hanno spinto a dire che il Garante della Privacy deve essere azzerato”. Il capogruppo Pd in Vigilanza Rai, Stefano Graziano, ha chiesto “un segnale netto di discontinuità”. Posizione condivisa dal capogruppo di Alleanza Verdi Sinistra, Peppe De Cristofaro, secondo cui “il collegio non è più credibile, per cui deve dimettersi subito”.
