Teatro Massimo, cala il sipario sul ciclo wagneriano palermitano

Teatro Massimo, cala il sipario sul ciclo wagneriano palermitano
27 gennaio 2016

di Laura Donato

Graham VickIl 28 gennaio segna la fine del Ciclo wagneriano palermitano. Il Ring, commissionato a Graham Vick (foto), giovedì pomeriggio, giunge al suo ultimo atto. I tre giorni raccontati da Wagner nelle quattro opere della Tetralogia hanno preso quasi quattro anni nella produzione del “Massimo” con una accelerazione che ha visto le ultime due, il Siegfried e il Götterdämmerung, a chiusura della stagione 2015 e ad apertura della 2016. Nata nel 2013 con la messa in scena delle prime due parti della Tetralogia – Das Rheingold (L’Oro del Reno) e Die Walküre (La Valchiria) ha rappresentato, nella visione del regista anglosassone, la fine e l’inizio di tutto: la fine del mondo degli dei, degli eroi in contrasto con l’inizio di una civiltà degradata, rozza, persa in una quotidianità che ne accelera la fine e la decomposizione. Il Götterdämmerung è l’ultima parte del ciclo composto lungo ben 26 anni (dal 1848 al 1874) ma è in realtà la prima a essere stata concepita dal compositore tedesco. Wagner partì infatti dall’idea di comporre un dramma musicale dedicato alla morte di Sigfrido, poi rielaborato come Götterdämmerung e da qui, procedendo a ritroso,  è andato a ricostruirne la giovinezza  (infatti il titolo originario di Siegfried era Der Junge Siegfried, cioè Il giovane Sigfrido) e poi ancora agli antenati e all’origine del mondo. Quasi sei ore di spettacolo, compresi gli intervalli, in cui Wagner conclude il suo Ring distruggendo ogni illusione e lasciandosi alle spalle – scrive Elisabetta Fava nel programma di sala –  “non solo il mondo ormai impotente e sconfitto degli dèi, ma anche quella natura primigenia, rigogliosa, libera, che costituiva lo scenario del Siegfried e l’habitat del giovane eroe. Caduti gli dèi, cadono ora anche gli eroi, capovolgendo il mito cristiano del Figlio che redime il mondo; qui le colpe dei padri celesti ricadono invece sui loro figli umani e li trascinano verso la catastrofe”.

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Vick come detto continua nella sua visione distruttiva e creatrice che ha caratterizzato gli allestimenti precedenti, facendone uno spettacolo contemporaneo “con un finale di nichilismo – racconta il regista – ma non di un nichilismo negativo. La cosa importante è avere la speranza fino alla fine, però la fine è la fine. Anche la creazione e la distruzione sono due parti della stessa cosa”. Anche questa volta, come nel Siegfried, ci sarà la spazzatura in scena, a rappresentare la decadenza, la corruzione, la degenerazione. La fine di un ciclo. “Dopo il tradimento e la morte di Siegfried – scrive Marco Brighenti nel programma di sala – Brünnhilde comprende come la colpa risieda nella separazione originaria dal tutto e come solo la fine di un ciclo possa portare a una nuova alba: solo ora lei, che per amore aveva rinunciato alla divinità, compie la sua personale rinuncia all’amore ridonando l’anello alle figlie del Reno e ripristinando così l’equilibrio originario”. Sul podio, a dirigere l’Orchestra e il Coro del Massimo, nonché un cast composto per lo più dagli stessi interpreti ascoltati nelle precedenti produzioni, Stefan Anton Reck. La nuova messa in scena, che è stata preceduta da una settimana preparativa con una serie di eventi e manifestazioni legate all’intero Ring, verrà ripresa il 28 da cinque telecamere presenti anche sul palcoscenico, e trasmessa in diretta su Radiotre e in streaming sul sito del Teatro.

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