Ucraina, la mossa del Cremlino che cambia il tavolo di pace. Il piano Usa prende forma. Eccolo

Donald Trump e Vladimir Putin

Donald Trump e Vladimir Putin

La Russia dice di lavorare a un piano di pace vero, non a una semplice tregua. Il Cremlino respinge la proposta di “tregua energetica” avanzata da Zelensky e insiste sulla necessità di un accordo formale e duraturo. Intanto Donald Trump, in un’intervista che a Mosca definiscono “molto importante”, sostiene che la Russia negozia da una posizione più forte rispetto all’Ucraina. Sullo sfondo, prende forma un articolato pacchetto negoziale americano che punta a chiudere la guerra entro pochi mesi.

Quadro diplomatico in evoluzione

Secondo Dmitri Peskov, portavoce di Vladimir Putin, l’obiettivo della Russia resta “una pace solida basata sulla firma di documenti vincolanti”. Parole pronunciate mentre commentava la proposta di Volodymyr Zelensky di una “tregua energetica”, subito bollata come insufficiente. Peskov ha anche accolto con favore l’intervista rilasciata da Donald Trump a Politico, definendola “una dichiarazione molto importante” perché individua nella NATO una delle cause profonde del conflitto. Per il Cremlino, il riconoscimento statunitense di tali radici potrebbe aprire spiragli negoziali fino a ieri impensabili.

Sul fronte politico interno ucraino, Peskov ha aggiunto che Mosca non ha ancora discusso con Washington l’ipotesi di nuove elezioni presidenziali in Ucraina. Trump ha dichiarato che “è tempo che l’Ucraina tenga elezioni presidenziali”, mentre Zelensky – in visita a Roma – ha detto di essere pronto a considerarle, chiedendo però agli Stati Uniti e ai Paesi europei di garantire la sicurezza delle operazioni. Condizione che, nel pieno della guerra, appare complicata.

Il piano Usa prende forma

Dietro le dichiarazioni pubbliche, intanto, gli Stati Uniti hanno messo sul tavolo una proposta molto più ampia. Il Washington Post parla di “un quadro complessivo piuttosto articolato”, sostenuto da funzionari americani, europei e ucraini. La struttura negoziale – coordinata da Jared Kushner e dall’inviato speciale Steve Witkoff – si basa su tre documenti: un piano di pace vero e proprio, un accordo sulle garanzie di sicurezza e un piano per la ripresa economica.

Il punto politicamente più sensibile resta la questione territoriale. La Russia pretende la cessione del restante 25% dell’oblast di Donetsk ancora controllato da Kiev. I negoziatori americani ritengono che quel territorio, secondo le loro valutazioni sul campo, potrebbe comunque cadere nei prossimi sei mesi. Per non costringere Zelensky a una rinuncia formale – da lui definita impossibile perché priva di base legale – viene studiata la soluzione “coreana”: una demarcazione di fatto, senza rinuncia alle rivendicazioni giuridiche.

Il pacchetto statunitense prevede inoltre che eventuali consultazioni locali nei territori contesi vengano rinviate a dopo la stabilizzazione militare, con la supervisione di osservatori internazionali. Un punto che, se confermato, permetterebbe a Kiev di evitare un riconoscimento diretto delle acquisizioni russe, mantenendo aperta la questione dello status finale.

Garante Usa e zona smilitarizzata

Tra i punti più avanzati c’è la creazione di una vasta zona smilitarizzata lungo l’intera linea del cessate il fuoco, dall’oblast di Donetsk fino a Zaporizhzhia e Kherson. Dietro la prima fascia, controllata in modo congiunto, verrebbe istituita un’area più profonda in cui sarebbe vietato dispiegare artiglieria pesante. È un modello che richiama la Corea, con controlli multilaterali e presenza costante di osservatori.

Non meno significativo è il capitolo delle garanzie di sicurezza: gli Stati Uniti fornirebbero a Kiev una protezione “simile all’Articolo 5” della NATO. In sostanza, un impegno di risposta rapida in caso di nuove aggressioni russe. L’intelligence americana resterebbe coinvolta in modo permanente e si discute anche sulle dimensioni delle forze armate ucraine: l’idea iniziale di un esercito da 600.000 uomini potrebbe salire a 800.000.

Sulla scena europea, la Casa Bianca ritiene possibile un’adesione accelerata dell’Ucraina all’Unione Europea già nel 2027, superando anche l’opposizione dell’Ungheria. L’ingresso è visto come strumento di stabilizzazione politica e lotta alla corruzione, oltre che come premio per l’allineamento al progetto occidentale. Alcuni diplomatici europei, però, avvertono che un’adesione così rapida rischierebbe di creare frizioni interne all’Unione, chiamata a sostenere ingenti costi di ricostruzione e a ridisegnare il proprio equilibrio istituzionale.

Ricostruzione e nodi finali

Tra gli elementi più innovativi del pacchetto c’è la restituzione della centrale nucleare di Zaporizhzhia sotto controllo ucraino, con una gestione tecnica americana che fungerebbe da “tripwire”, un vero e proprio “filo di inciampo” contro ulteriori mosse russe. Per la ricostruzione, il piano prevede lo sblocco di parte dei 200 miliardi di dollari di asset russi congelati in Europa e la creazione di un Fondo di Sviluppo da 400 miliardi, sostenuto da BlackRock e Banca Mondiale.

A ciò si aggiunge un capitolo economico ancora poco discusso: la possibile apertura di “corridoi umanitari industriali” per garantire il funzionamento di alcune infrastrutture critiche – porti, ferrovie, impianti energetici – durante i primi anni del cessate il fuoco. L’obiettivo sarebbe evitare un collasso logistico che renderebbe fragile qualsiasi accordo.

Resta però un paradosso: la pressione eccessiva di Trump su Zelensky e sugli alleati europei potrebbe ottenere il risultato opposto. Secondo le fonti citate dal Washington Post, un forcing mal calibrato spingerebbe Kiev a respingere l’intero pacchetto e a continuare la guerra, nonostante costi ormai altissimi.

Il negoziato avanza, ma procede su un crinale sottile. Da un lato le ambizioni geopolitiche di Russia e Stati Uniti, dall’altro le esigenze di sopravvivenza dell’Ucraina. E, al centro, un conflitto che potrebbe essere vicino a una svolta oppure a un nuovo stallo prolungato.