Non passa proposta franco-tedesca per summit con Putin
E’ scontro con Orban. Fatto il punto su Covid e Recovery
Il Consiglio europeo, tornato finalmente a riunirsi fisicamente ieri e oggi a Bruxelles, è terminato nel primo pomeriggio dopo una serie di discussioni fra i capi di Stato e di governo spesso accese e dall’esito non scontato. In estrema sintesi, i punti più importanti sono stati quattro: 1) la situazione della pandemia, con i buoni risultati sulla campagna di vaccinazione e il certificato Covid digitale ormai pronto a diventare operativo, ma anche la preoccupazione e la necessità di restare vigili di fronte alla variante Delta del virus, già dominante nel vicino Regno Unito; 2) l’avvio ormai imminente del grande piano di Recovery “Next Generation EU”, con i prefinanziamenti già quest’estate per il primo gruppo di Pnrr approvati; 3) lo scontro frontale sulla difesa dei “valori europei” fra una buona parte dei leader, insieme alla Commissione, contro il premier ungherese Viktor Orban riguardo alla nuova legge omofoba appena approvata dal parlamento di Budapest; 4) il lungo dibattito sulle relazioni con la Russia, che ha visto l’asse franco-tedesco favorevole a convocare quanto prima un summit Ue-Putin, vistosamente in difficoltà e poi clamorosamente sconfitto di fronte all’opposizione della linea dura antirussa, guidata dalla Polonia e dai Baltici.
Sulla pandemia, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha fornito, come ormai d’abitudine, un aggiornamento sui dati della campagna di vaccinazione di massa: “Giunti quasi alla fine del secondo trimestre dell’anno, siamo arrivati a 424 milioni di dosi” somministrate nell’Ue; “superando il nostro obiettivo, avremo a fine settimana almeno il 60% degli adulti con almeno una dose somministrata, e il 40% pienamente vaccinato”, ha riferito durante la conferenza stampa al termine del vertice. “E’ un passo avanti” ed era “necessario”, ma ora, ha continuato von der Leyen, “siamo preoccupati dalla variante indiana ‘Delta’ del virus, che è già dominante nel Regno Unito, dove rappresenta più del 90% dei nuovi contagi, e si sta rapidamente propagando anche qui nell’Ue. La buona notizia è che la vaccinazione con due dosi protegge da questa variante, e che già dopo la prima dose si è protetti dagli effetti più gravi della malattia. Ma – ha avvertito – dobbiamo restare vigili, e molto coordinati sulle restrizioni, come mascherine e distanziamento, che devono essere mantenute, e soprattutto bisogna continuare a vaccinare, vaccinare, vaccinare”.
Quanto al certificato Covid digitale europeo, ci sono ormai 26 paesi dell’Ue e dello spazio Schengen “già pronti in tempi record”, e tutto è a posto perché il sistema parta, come previsto, il primo luglio prossimo, facilitando i viaggi, le vacanze e il turismo. Sul piano di Recovery, von der Leyen ha ricordato che i piani nazionali presentati sono ora 24 su 27, e che 12 sono già valutati positivamente dalla Commissione. Sono ora in attesa dell’approvazione formale del Consiglio Ue entro luglio, in modo che potranno ricevere i prefinanziamenti durante l’estate. “Tutti i piani nazionali approvati rispettano o superano gli obiettivi di spendere almeno il 20% dei fondi per la trasformazione digitale e almeno il 37% per la la transizione verde. Ci sono già – ha indicato la presidente della Commissione – più di 200 miliardi per misure verdi, e c’è anche un forte investimento nella dimensione sociale, le politiche per i giovani e per l’impiego, l’assistenza all’infanzia e l’istruzione, la salute”. Von der Leyen ha ricordato inoltre il grande successo registrato alla prima emissione dei bond europei per finanziare il piano di Recovery: “Abbiamo emesso titoli di debito per 20 miliardi di euro con scadenza a 10 anni, e la domanda è stata sette volte superiore all’offerta; è una dimostrazione della fiducia dei mercati nei confronti di ‘Next Generation EU’ e dell’Ue”, ha sottolineato.
Lo scontro fra i 27 è stato durissimo sulla questione della nuova legge ungherese che vieta nei media qualsiasi contenuto destinato ai minori di 18 anni con riferimenti all’omosessualità o ad altre identità Lgbti. Alla vigilia del vertice, von der Leyen aveva definito senza mezzi termini le legge “una vergogna” perché discrimina chiaramente gli omosessuali. Inoltre la Commissione ha già inviato una durissima lettera di messa in mora al governo ungherese per violazione del diritto comunitario, chiedendo una risposta entro il 30 giugno, e 16 capi di Stato e di governo (compreso l’italiano Mario Draghi) hanno firmato una lettera alla stessa Commissione e alla presidenza del Consiglio Ue in cui, pur senza citare l’Ungheria, affermano la necessità di continuare a lottare contro le discriminazioni verso la comunità Lgbti. Al loro arrivo al Consiglio europeo, ieri, il premier olandese Mark Rutte aveva addirittura prospettato l’espulsione dell’Ungheria dall’Ue (un’eventualità non prevista dai Trattati), mentre Orban aveva difeso la legge, affermando che “riguarda i diritti dei ragazzi e dei genitori. Non è contro l’omosessualità, non riguarda gli omosessuali, ma qualunque tipo di interferenza nell’educazione sessuale che i genitori vogliono dare ai figli, e il fatto che questo debba riguardare esclusivamente i genitori”.
“Questa discussione sui valori – ha detto oggi la presidente della Commissione parlando dei risultati del vertice – era necessaria; è stata una discussione fattuale, molto personale ed emotiva allo stesso tempo: perché riguarda la vita delle persone, la loro dignità, i loro sentimenti, la loro identità, e riguarda quello in cui crediamo nell’Unione europea. I nostri valori sono iscritti nell’articolo 2 del Trattato Ue, e sono molto chiari: il rispetto dei diritti umani, l’uguaglianza, la dignità umana, la libertà, la non discriminazione. Queste sono le nostre fondamenta e noi difenderemo questi valori”. “Molti di noi – ha continuato von der Leyen – hanno detto molto chiaramente che la legge ungherese va contro i nostri valori. La Commissione ha scritto al governo ungherese e ora aspettiamo la sua risposta. C’è stato – ha riferito – un forte sostegno nel Consiglio” per queste posizioni, “perché L’Europa è prima di tutto una unione di valori; è anche il mercato unico, è la moneta unica, ma prima di tutto – ha ripetuto – è una unione di valori; la protezione delle minoranze, la cultura di tolleranza e di accettazione sono la base contro la discriminazione, e noi – ha sottolineato – proteggeremo i nostri cittadini dovunque vivano nella nostra Unione e chiunque essi amino”.
Riguardo ai rapporti con la Russia, la presidente della Commissione ha ricordato che “in questo momento siamo in una spirale negativa” e, ha aggiunto, “dobbiamo prepararci per un ulteriore peggioramento. Quindi abbiamo deciso di reagire (“push back”, ndr) quando la Russia prende di mira l’Unione europea e ciò che rappresentiamo, quando viola i diritti umani; di contrastare la Russia quando tenta di minare i nostri interessi”. Ma allo stesso tempo, l’Ue cercherà di impegnare in un “dialogo selettivo” Mosca, “quando è nel nostro interesse, per raggiungere i nostri obiettivi, ad esempio riguardo al cambiamento climatico o nel campo della salute pubblica”. “Abbiamo una posizione di forza”, ha rilevato von der Leyen. Perché, “se guardiamo alle relazioni economiche, vediamo che la Russia rappresenta meno del 5% delle merci che vengono importate nell’Unione europea. Ma, all’inverso, se guardiamo alle importazioni in Russia, siamo il suo principale partner commerciale, con oltre il 37% del totale. E questo squilibrio – ha sottolineato la presidente della Commissione – è destinato a crescere, perché l’economia russa è costruita su petrolio e gas, che rappresentano il 25% del suo Pil. Ma il mondo si sta allontanando dai combustibili fossili, e la Russia dovrà adeguare la sua economia; mentre nell’Unione europea, con il Green Deal, stiamo rafforzando la nostra resilienza, e andando sempre più verso le rinnovabili”.
Mentre sulle critiche all’Ungheria von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, non hanno nascosto la durezza dei toni durante la discussione fra i leader, riguardo al dibattito sulla Russia hanno minimizzato o addirittura negato la clamorosa bocciatura della proposta franco-tedesca di convocare al più presto un vertice dell’Ue con il presidente russo Vladimir Putin. Una proposta che alcuni leader hanno risentito come un atto di arroganza dell’asse franco-tedesco, visto che è stata presentata a sorpresa e praticamente senza consultazioni poche ore prima del vertice. E nonostante il sostegno di Draghi, la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Emmanuel Macron hanno dovuto arrendersi davanti alla determinazione antirussa dei paesi dell’Est, soprattutto Polonia e Paesi baltici. Angela Merkel, lasciando ieri notte il Consiglio, ha riconosciuto con franchezza di non aver convinto gli altri Stati membri. “Non siamo riusciti ad accordaci oggi sul fatto che ci saremmo incontrati al più presto (con Putin, ndr) a livello di leader. Ma ciò che è importante per me e che rimanga il formato del dialogo” con la Russia , “e che lavoreremo su questo. Personalmente – ha concluso la cancelliera – avrei preferito un passo più coraggioso, ma va bene così”.
Chiaramente più irritata la reazione di Macron, che ha denunciato la mancanza di una vera strategia dell’Ue nei confronti della Russia. “Io non sono ossessionato dall’idea di un vertice a 27” con Putin, “perché per un vertice a 27, dobbiamo essere chiari su quello che diremo e totalmente allineati e uniti” ha osservato oggi, durante la conferenza stampa al termine del Consiglio europeo. Il presidente francese ha definito “un’aberrazione” la situazione attuale, in cui il presidente Usa Joe Biden può organizzare subito e senza problemi un summit con Putin, mentre sembra non possa farlo l’Ue, che è oggi la potenza con le posizioni più dure contro la Russia, il suo vicino. “Francamente – ha aggiunto Macron -, io non ho bisogno che ci sia un vertice dell’Unione europea per vedere Vladimir Putin. L’ho visto molte volte da quando sono presidente e continuerò a vederlo. Dico semplicemente che finalmente abbiamo fatto cadere un tabù, che ci sono dei formati per incontrarlo come europei, ma non c’è stato un consenso perché ci sia un vertice a breve. Per me non è un dramma: la cosa più importante e che abbiamo finalmente strutturato questa agenda e che manteniamo la nostra unità, perché le divisioni sono ciò che ci indebolisce”.
Altri due temi rilevanti trattati nella riunione del Consiglio europeo sono stati quelli dell’immigrazione e delle relazioni con la Turchia, e in particolare la proposta di rinnovare il sostegno finanziario europeo per i rifugiati siriani (non solo in territorio turco, ma anche in Libano e Giordania). Sull’immigrazione e asilo non ci sono state sorprese: era chiaro da tempo (lo ha riconosciuto oggi lo stesso premier Draghi) come non vi fosse alcun appetito per rilanciare, almeno per ora, la discussione sulla “solidarietà”, ovvero su un meccanismo equo di redistribuzione, fra i paesi membri, dei migranti irregolari che, dopo essere stati soccorsi in mare, sbarcano nei porti italiani e degli altri paesi mediterranei in prima linea sulle rotte migratorie. Era stato proprio Draghi a chiedere di inserire il punto sull’immigrazeine nell’agenda, dopo tre anni in cui non se ne era più parlato. Charles Michel ha aperto la discussione, ieri sera, chiedendo al premier italiano se intendesse intervenire, o se invece si potesse passare all’approvazione delle conclusioni così come erano state predisposte. Draghi ha detto che non aveva nulla da aggiungere a meno che non vi fossero richieste di emendamenti. La proposta è stata così approvata immediatamente, senza ulteriore dibattito.
Le conclusioni del Consiglio europeo, che non menzionano neanche la riforma del regolamento di Dublino, sono completamente focalizzate sulla “dimensione esterna” della politica migratoria, su cui era molto più facile trovare il consenso dei Ventisette. La Commissione e l’Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune sono invitati a rafforzare sensibilmente l’azione esterna e i suoi finanziamenti, calibrandoli molto di più sulla prevenzione delle “cause profonde” delle migrazioni nei paesi di origine e di transito dei migranti, e sui partenariati e la cooperazione con questi paesi. Riguardo alla Turchia, il Consiglio europeo ha riconosciuto che “recentemente le relazioni nel complesso sono migliorate”. “C’è una de-escalation nel Mediterraneo orientale; ci sono colloqui fra la Turchia e la Grecia, e questo è un buon punto di partenza”, ha detto von der Leyen. “Ma d’altra parte, vediamo ancora pochi, se non nessun progresso, riguardo riguardo a Cipro, e questo è deludente”. “Dal mese di marzo – ha continuato la presidente della Commissione – siamo impegnati in discussioni con Ankara, in particolare sul commercio e sul tema dei rifugiati siriani. Sul commercio, la Turchia ha adottato misure per affrontare alcuni elementi che causano controversie, come ad esempio i certificati di origine. E incoraggiamo Ankara a fare di più. Da parte nostra stiamo discutendo il mandato per i negoziati sulla modernizzazione dell’unione doganale Ue-Turchia, ma c’è ancora molto lavoro da fare”.
“Sul tema dei rifugiati nella regione, abbiamo già chiarito che continueremo a sostenere la Turchia e altri partner nella regione, come la Giordania o il Libano, che ospitano milioni di profughi siriani. Sono passati ormai dieci anni dall’inizio del conflitto in Siria e la regione ne sostiene ancora gran parte delle conseguenze. E’ nel nostro interesse collettivo europeo – ha sottolineato von der Leyen – proteggere i rifugiati e sostenere i paesi che li ospitano, particolarmente in questi tempi difficili per il Covid-19 e la crisi economica”. “Come abbiamo fatto in passato, abbiamo in programma – ha annunciato la presidente della Commissione – di stanziare altri 3 miliardi di euro per sostenere i rifugiati in Turchia fino al 2024. Questi soldi proverranno interamente dal bilancio dell’Ue e si concentreranno principalmente sul sostegno socioeconomico ai rifugiati”. Ma vi sarà anche una novità rispetto al passato: “Sosterremo anche la Turchia nella gestione della migrazione al confine orientale”, ha detto la presidente della Commissione. Una parte degli aiuti, insomma, andrà alle autorità turche, e non solo ai rifugiati, direttamente o tramite le organizzazioni che li assistono, come è accaduto finora (per 6 miliardi di euro dal 2015). “La Commissione fornirà poi altri 2,2 miliardi di euro fino al 2024 per sostenere i rifugiati siriani in Giordania e in Libano”, e ulteriori finanziamenti potranno venire dagli Stati membri, che sono stati invitati a contribuire. “I leader hanno sostenuto questo pacchetto strategico. Ora, come Commissione, lavoreremo alla proposta legislativa e la metteremo sul tavolo”, ha concluso von der Leyen. askanews