Cameron e l’Europa: che cosa cambia dopo vittoria a elezioni

Cameron e l’Europa: che cosa cambia dopo vittoria a elezioni
11 maggio 2015

di Enzo Marino

Che cosa significa la rielezione di David Cameron per le relazioni, mai state facili, fra Regno Unito e Unione europea? Intanto, sembra ormai certo, dopo la conferma da parte dello stesso Cameron, che il nuovo governo di Londra terrà la promessa di organizzare un referendum sulla permanenza nell’Ue, molto probabimente nell’autunno 2017. Questo non significa che i conservatori britannici faranno campagna per il “Brexit”, l’uscita dall’Europa. Il loro obiettivo sembra essere soprattuto quello di strappare alcuni cambiamenti sostanziali nelle attuali regole Ue, utilizzando la minaccia del voto euroscettico come leva per convincere i riluttanti partner europei. In estrema sintesi, a fronte di un forte sostegno a tutte le politiche di liberalizzazione e all’approfondimento del mercato unico europeo in tutti i settori, Londra chiede di limitare sostanzialmente la libertà di circolazione e di stabilimento dei cittadini europei in tutti gli Stati membri (soprattutto per evitare il cosiddetto “turismo del welfare”), una “rinazionalizzazione” di diverse politiche Ue, e la restituzione ai parlamenti nazionali di gran parte del potere sovrano che hanno ceduto negli anni all’Unione, con la possibilità di bloccare iniziative e europee decise a maggioranza qualificata in Consiglio. Cameron ha ora un elemento nuovo favorevole per attuare con più autonomia, ma anche con più moderazione, la sua agenda politica europea: d’ora in poi, avrà molto meno il fiato degli euroscettici dell’Ukip sul collo. A partire dall’affermazione clamorosa del Partito dell’Indipendenza di Nigel Farage alle elezioni europee di un anno fa, il premier aveva dovuto indurire ed estremizzare il suo discorso critico verso l’Ue, per non farsi sottrarre consensi dalla destra euroscettica.

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Ora Farage non è riuscito neanche a conquistare il proprio seggio a Westminister, e l’Ukip, primo partito britannico a Strasburgo, è restato meno che marginale a Londra. Il secondo elemento nuovo è la clamorosa vittoria degli indipendentisti in Scozia. Non è chiaro in che modo questo possa influire sulla politica europea di Cameron, ma va ricordato che gli indipendentisti scozzesi sono europeisti, molto più dei conservatori e dei laburisti. Se il governo di Londra spingesse per l’uscita dall’Ue potrebbe rafforzare la spinta indipendentista degli scozzesi proprio in nome della volontà di questi ultimi di “restare in Europa”. All’esterno, Bruxelles e gli altri paesi membri cominciano a guardare con una certa irritazione alle pretese britanniche di godere dei benefici del mercato unico restando “con le mani libere” in tutti gli altri settori, e frenando costantemente in tutte le iniziative di integrazione “sempre più stretta” fra i paesi Ue. La maggior parte dei paesi partner non condivide l’intepretazione dell’Ue come un semplice progetto di liberalizzazione degli scambi in un grande mercato, e non ha alcuna voglia di riaprire il cantiere dei Trattati comunitari per fare ulteriori concessioni a Cameron. D’altra parte, come ha confermato oggi il portavoce capo della Commissione europea, Margaritis Schinas, la libera circolazione delle persone e le altre “libertà fondamentali” del mercato unico (delle merci, dei capitali, dei servizi) “possono essere definite non negoziabili, nel senso che sono l’essenza stessa dell’Ue”. Per ora, i messaggi dei vertici delle istituzioni europee (Commissione e Consiglio) a Cameron sono stati molto concilianti: congratulazioni per la vittoria, naturalmente, ma anche una chiara sollecitazione a non spingere per il Brexit, a preservare la permanenza del Regno Unito nell’Ue, insieme all’offerta di aiuto per cercare, un “deal”, un accordo “giusto”, come ha detto il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker. Ma la palla sta nel campo britannico: “Attendo con impazienza le tue idee e proposte”, ha detto Juncker nel suo messaggio al premier riconfermato.

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Nonostante il suo ruolo “super partes”, Juncker non è considerato è certamente un “amico” da Cameron: è stato eletto alla guida dell’Esecutvio comunitario nonostante l’opposizione del premier britannico, che restò in minoranza al momento del voto, a metà luglio 2014, insieme al collega ungherese Viktor Orban. Cameron spera probabimente di ottenere di più dai colleghi capi di Stato e di governo, grazie anche a un alleato importante: il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk. Nella sua nota di congratulazioni, oggi, Tusk appare disponibile e in sintonia con il premier britannico ben più di quanto non lo sia Juncker; soprattuto quando sostiene, in sostanza, che è interesse degli europei tenersi Londra ben stretta, per via del ruolo positivo che svolge, e che potrebbe svolgere in futuro “migliorando l’Ue”, proprio con il “patto” che dovrebbe scongiurare una vittoria degli euroscettici al referendum del 2017. “Conto sul fatto – scrive Tusk – che il nuovo governo britannico difenda la causa della permanenza del Regno Unito nell’Unione europea”, una causa che assicura di “essere pronto ad aiutare”. “Il Regno Unito – sottolinea il presidente del Consiglio europeo – svolge un ruolo chiave nel garantire che l’Europa abbia un’agenda di buon senso, mantenendo l’enfasi su un’economia competitiva mediante un mercato unico efficace, su regolamentazioni non intrusive, sull’apertura degli scambi con le altre nazioni e su una politica estera condotta con determinazione”. “Sono profondamente convinto – conclude Tusk – che non ci sia una vita migliore fuori della Ue, per nessun paese”, e che “una migliore Ue sia interesse non solo della Gran Bretagna ma di ogni Stato membro”.

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