“Spione, WhatsApp è riservato”: ufficiale, se leggi le chat del partner ti sbattono in galera, lo dice la CASSAZIONE
Controllare il telefono (pexels) - IlFogliettone.it
Accesso abusivo e WhatsApp, la Cassazione chiarisce i limiti della legittima difesa processuale: non serve forzare la password
Con la sentenza n. 3025 del 2025, la Corte di Cassazione si è espressa su un tema di particolare rilievo in ambito penale e processuale: l’accesso abusivo a un dispositivo elettronico e la violazione della corrispondenza privata, in particolare con riferimento a conversazioni su WhatsApp. Il caso riguardava un imputato, A.A., che aveva consultato il contenuto del telefono dell’ex coniuge, B.B., utilizzando conversazioni private nel contesto di un procedimento civile, sostenendo di aver agito per tutelare il figlio minore.
La Corte ha rigettato il ricorso, ribadendo che il reato di accesso abusivo ex art. 615 ter c.p. si configura anche in assenza di inserimento della password, se l’accesso avviene contro la volontà del titolare del dispositivo. L’imputato aveva sostenuto che il telefono fosse sbloccato e quindi liberamente accessibile, ma la Cassazione ha sottolineato che ciò non è rilevante: se l’accesso avviene in violazione della sfera di riservatezza del legittimo proprietario, esso è comunque penalmente rilevante.
Un altro punto essenziale della sentenza è il riconoscimento dell’“abusività” anche quando in passato le credenziali di accesso erano state condivise. Secondo i giudici, l’uso successivo di tali credenziali per finalità estranee e contrarie alla volontà dell’avente diritto rappresenta un chiaro superamento dei limiti del consenso. L’accesso, in questi casi, è considerato indebito perché orientato a un obiettivo lesivo della riservatezza del titolare.
La difesa aveva invocato l’art. 51 del codice penale, sostenendo che l’accesso fosse giustificato dalla volontà di proteggere il figlio. Tuttavia, la Cassazione ha chiarito che la tutela del minore non può giustificare un comportamento penalmente illecito se esistono mezzi alternativi e legali per ottenere le stesse informazioni. In particolare, è stato evidenziato che l’imputato avrebbe potuto rivolgersi al giudice civile, anche in via d’urgenza, per chiedere l’acquisizione delle conversazioni.
Il diritto alla prova non giustifica l’illecito
La Corte ha ribadito un principio centrale del processo: il diritto alla prova non può mai legittimare l’uso di mezzi illeciti per acquisirla. Se si rende necessario produrre documentazione riservata in un procedimento civile, è compito del giudice disporne l’acquisizione. L’iniziativa autonoma dell’imputato, quindi, ha violato sia la privacy della persona offesa sia il principio di legalità nella formazione della prova.
Accanto al reato di accesso abusivo, la Corte ha ritenuto sussistente anche la violazione della corrispondenza, ex art. 616 c.p. L’acquisizione di messaggi WhatsApp contenuti nel telefono dell’ex coniuge integra questo reato, poiché si tratta di corrispondenza privata conservata in un archivio informatico personale. La Cassazione ha escluso la possibilità di invocare la “giusta causa”, evidenziando che l’imputato non ha dimostrato l’impossibilità di agire con strumenti legittimi.

Precedenti giurisprudenziali a conferma del principio
La decisione si inserisce in un solco giurisprudenziale già tracciato da precedenti sentenze, come la n. 12603 del 2017 e la n. 52075 del 2014. In entrambe, la Corte aveva affermato che l’accesso a comunicazioni archiviate digitalmente, come email o messaggi di chat, è riconducibile alla violazione della corrispondenza e non all’intercettazione illecita, che presuppone la captazione in tempo reale.
Con questa sentenza, la Corte di Cassazione ribadisce l’importanza di tutelare la privacy, anche all’interno di contesti familiari conflittuali. L’utilizzo di contenuti privati a fini processuali deve avvenire nel rispetto delle norme e delle garanzie previste dall’ordinamento. Nessuna finalità, nemmeno quella affettiva o genitoriale, può giustificare una condotta che viola la libertà e la riservatezza altrui.
