“Non puoi andare in pausa”: minaccia gravissima del datore di lavoro, è ufficiale: hai diritto al RISARCIMENTO I Si è pronunciata la Cassazione

Pausa caffè (pexels) - IlFogliettone.it

Pausa caffè (pexels) - IlFogliettone.it

Pause lavorative, se negate, possono causare danni anche senza prove mediche: la pausa non è un lusso, ma un diritto

Le pause durante l’orario di lavoro non sono un beneficio concesso, ma un diritto riconosciuto dalla legge. La normativa italiana, in linea con quella europea, stabilisce che ogni lavoratore impegnato in turni superiori a sei ore continuative debba usufruire obbligatoriamente di almeno dieci minuti consecutivi di pausa. Si tratta di un principio fondamentale sancito dall’articolo 8 del D.Lgs. 66/2003, che mira alla tutela della salute e alla prevenzione dell’usura psicofisica derivante da carichi eccessivi di lavoro.

Il lavoratore ha piena autonomia nell’utilizzo della propria pausa, come chiarito dal Ministero del Lavoro con la circolare n. 8 del 2005. In quei dieci minuti, il dipendente può dedicarsi a qualsiasi attività che ritenga utile al proprio benessere: bere un caffè, mangiare, andare in bagno o fumare una sigaretta. Tuttavia, è importante rispettare le regole aziendali, in particolare per quanto riguarda il fumo, che deve avvenire in spazi autorizzati o, in mancanza, all’esterno dell’edificio, nel rispetto della legge n. 3 del 2003.

Il datore di lavoro non può arbitrariamente negare o limitare il diritto alla pausa, a meno che il lavoratore non ecceda i minuti previsti dai contratti collettivi o dai regolamenti interni. Questo principio è stato più volte confermato dalla Corte di Cassazione, che ha ribadito la centralità della pausa come elemento essenziale per la sicurezza e la salute del lavoratore. La violazione di questo diritto può quindi rappresentare un inadempimento contrattuale rilevante e potenzialmente dannoso.

Non tutti i lavoratori, però, rientrano nella disciplina generale sulle pause. Sono esclusi, ad esempio, i telelavoratori, i dirigenti, i collaboratori familiari e altre categorie con un’autonomia organizzativa tale da non richiedere una regolamentazione rigida dell’orario. Per queste figure, la gestione delle interruzioni lavorative segue logiche personalizzate, spesso non formalizzate nei contratti collettivi.

Il caso Ares 118 e la svolta giurisprudenziale

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 20249 del 2025, ha segnato un passo importante nel riconoscimento del danno da usura psicofisica legato alla mancata fruizione delle pause. Il caso riguardava alcuni dipendenti dell’Azienda Regionale Emergenza Sanitaria Ares 118, i quali avevano ottenuto in appello un risarcimento per i danni subiti a causa dell’assenza sistematica di pause durante i turni. La Cassazione ha confermato questa decisione, riconoscendo il nesso tra l’inadempimento e la lesione subita dai lavoratori.

La Corte ha precisato che il danno non può considerarsi “in re ipsa”, ossia non può essere dato per scontato solo per effetto della violazione normativa. Tuttavia, è possibile riconoscerlo in via presuntiva, sulla base della gravità e della durata dell’inadempimento. In altre parole, non serve necessariamente una perizia medica per dimostrare l’esistenza del danno: la reiterazione della violazione nel tempo può bastare a far presumere la lesione.

Pausa caffè (pexels) – IlFogliettone.it

Un precedente importante per la giurisprudenza

L’orientamento della Suprema Corte rappresenta una svolta per i diritti dei lavoratori, in particolare in contesti dove i carichi di lavoro sono intensi e la possibilità di usufruire delle pause viene sistematicamente compromessa. I giudici hanno dato valore alle condizioni effettive in cui si svolge il lavoro, andando oltre la mera formalità contrattuale e riconoscendo l’importanza della tutela psicofisica.

Alla luce di questo principio, le aziende sono chiamate a vigilare con maggiore attenzione sul rispetto delle pause lavorative. I contratti collettivi, da parte loro, devono prevedere una regolamentazione chiara ed efficace. Ma anche in assenza di norme dettagliate, il diritto alla pausa minima di dieci minuti rimane intangibile. E oggi, grazie alla nuova pronuncia della Cassazione, il mancato rispetto di quel diritto può costare caro. Anche senza un certificato medico alla mano.