Ultimatum a Anchorage: Putin ricatta Trump sull’Ucraina mentre i carri armati avanzano

Lo scambio di territori emerge come ipotesi concreta per fermare la guerra. Ma a che prezzo? Mentre Kiev resiste e l’Europa si oppone, Washington sembra aprire alla soluzione più controversa del conflitto.

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Il 15 agosto segnerà un momento cruciale nella geopolitica mondiale. Ad Anchorage, in Alaska, Donald Trump e Vladimir Putin si siedono di fronte per discutere il futuro dell’Ucraina. Mentre i due leader si preparano all’incontro, Mosca non arretra di un millimetro dalle sue posizioni massimaliste, ribadite ieri dal vicedirettore del Dipartimento Informazione e Stampa del Ministero degli Esteri russo, Alexey Fadeev: “La posizione della Russia rimane invariata ed è stata espressa in questa sala il 14 giugno 2024”. Una dichiarazione che suona come un ultimatum alla vigilia dei colloqui più attesi dell’anno.

L’ombra della guerra si allunga sul vertice. Proprio mentre si susseguono gli annunci diplomatici, l’esercito russo intensifica la pressione militare nell’Ucraina orientale, conquistando l’autostrada strategica Dobropillia-Kramatorsk nella regione di Donetsk. Un messaggio inequivocabile: Mosca negozia dalla posizione di forza, con le armi che continuano a parlare sul campo di battaglia.

Le carte di Putin: territori e influenza a ogni costo

Il Cremlino arriva al tavolo con un pacchetto di richieste che ridisegnerebbero completamente l’assetto geopolitico dell’Europa orientale. Al centro, le rivendicazioni territoriali che affondano le radici nell’annessione della Crimea del 2014 e si estendono alle quattro regioni ucraine – Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson – formalmente integrate nella Federazione russa attraverso referendum mai riconosciuti dalla comunità internazionale.

19% Territorio ucraino sotto controllo russo
100% Controllo russo su Luhansk
75% Controllo russo su Donetsk
74% Controllo russo su Zaporizhzhia e Kherson

I numeri parlano chiaro: Mosca controlla oggi circa il 19% del territorio ucraino. Nel Donbass, il dominio su Luhansk è totale, mentre Donetsk resta sotto controllo russo al 75%. Le regioni meridionali di Zaporizhzhia e Kherson vedono una presenza russa del 74%, con la significativa eccezione del capoluogo Kherson, riconquistato dalle forze ucraine dopo mesi di occupazione.

La strategia del Cremlino non si limita al controllo militare. Putin pretende il ritiro completo delle forze ucraine dalle porzioni di territorio ancora sotto controllo di Kiev nelle quattro regioni annesse, pena la continuazione del conflitto. Una richiesta che Kiev definisce “inaccettabile” ma che potrebbe aprire spiragli per complesse trattative territoriali.

Trump e l’ipotesi scambio: il principio che divide l’Occidente

La proposta più controversa emersa nelle settimane precedenti il vertice riguarda un possibile scambio di territori. Donald Trump ha lasciato intendere alla stampa americana che tale soluzione potrebbe rappresentare la chiave per sbloccare le ostilità, scatenando immediate reazioni a Kiev e Bruxelles.

Una posizione che trova eco nell’Unione europea, dove una dichiarazione congiunta – significativamente non condivisa dall’Ungheria di Viktor Orbán – ribadisce che “i confini internazionali non possono essere modificati con la forza”.

Mosca, pur non avanzando proposte ufficiali, ha lasciato filtrare segnali di apertura verso questa opzione, sempre nell’ottica di consolidare il controllo totale sulle regioni rivendicate. L’ipotesi divide profondamente l’Occidente e apre scenari inediti per la risoluzione del conflitto.

Oltre i confini: il progetto di neutralizzazione dell’Ucraina

Le ambizioni russe trascendono la mera questione territoriale. Il pacchetto di garanzie di sicurezza richiesto da Putin mira a trasformare l’Ucraina in uno stato cuscinetto tra Russia e Unione europea, neutralizzando definitivamente le aspirazioni euroatlantiche di Kiev.

Al centro delle richieste: smilitarizzazione dell’Ucraina, neutralità permanente e rinuncia all’adesione NATO. Condizioni presentate come ultimatum già nei mesi precedenti l’invasione del febbraio 2022, quando Mosca ha formalmente notificato alle capitali occidentali le proprie linee rosse per la sicurezza nell’Europa orientale.

Il memorandum di Istanbul, presentato durante i colloqui con la delegazione ucraina, rivela la portata massimalista delle pretese russe. Oltre agli aspetti militari e territoriali, Putin punta a una completa riconfigurazione dell’identità ucraina: status ufficiale per la lingua russa, ripristino dei privilegi del Patriarcato di Mosca, riscrittura della storia nazionale secondo le narrazioni del Cremlino.

La strategia del controllo culturale

L’aspetto più inquietante del progetto russo emerge dall’analisi delle clausole “culturali” del memorandum. Mosca non si accontenta del controllo territoriale: vuole plasmare l’anima dell’Ucraina. La richiesta di mettere al bando tutti i partiti nazionalisti ucraini, etichettati come “estremisti” e “neonazisti”, rivela la volontà di Putin di eliminare qualsiasi forma di resistenza identitaria ucraina.

La convocazione di nuove elezioni in Ucraina, altra condizione posta dal Cremlino, si inserisce in questo disegno di rifondazione politica del Paese sotto l’egida russa. Un progetto che trasformerebbe l’Ucraina in un satellite di Mosca, azzerando decenni di costruzione democratica e indipendenza statuale.

Il vertice di Anchorage si apre dunque su un bivio storico. Da una parte, la pressione americana per una soluzione rapida che possa chiudere il conflitto più sanguinoso in Europa dal 1945. Dall’altra, le ambizioni imperiali di Putin che vedono nell’Ucraina non solo un premio territoriale, ma il tassello fondamentale per ricostruire la sfera di influenza russa in Europa orientale.

Mentre Trump e Putin si preparano a confrontarsi sulle rive del Pacifico, l’Europa trattiene il fiato. Il destino dell’Ucraina – e dell’ordine geopolitico continentale – potrebbe decidersi in poche ore di colloqui riservati. La storia ha i suoi appuntamenti: Anchorage potrebbe essere uno di quelli che ridisegnano il mondo.