Ocean Viking e Mediterranea: vite salvate, navi bloccate e attacchi armati

Ocean Vikingmigranti

Nel mare che separa la Sicilia dalla Libia, dove le onde superano i due metri e mezzo, si consuma quotidianamente una tragedia nella tragedia. La nave Mediterranea della ong Mediterranea Saving Humans giace ferma nel porto di Trapani, bloccata dal decreto Piantedosi per aver salvato dieci vite umane. Mentre a quaranta miglia dalle coste libiche, la Ocean Viking subisce un attacco armato da parte delle stesse motovedette donate dall’Italia alla Guardia Costiera libica. Il paradosso è servito: l’Europa finanzia chi spara sulle navi umanitarie, mentre punisce chi salva i naufraghi.

La cronaca degli ultimi giorni racconta di un Mediterraneo trasformato in campo di battaglia, dove il diritto internazionale naufraga insieme ai migranti. Sabato scorso, la nave Mediterranea ha disatteso le disposizioni delle autorità italiane sul porto di sbarco – doveva essere Genova – e ha puntato su Trapani per far sbarcare dieci persone soccorse nei pressi di Pantelleria. Le condizioni meteomarine avverse, con onde alte più di due metri e mezzo, hanno spinto l’equipaggio a cercare il porto più vicino. Il risultato: un fermo amministrativo firmato da Polizia di Stato, Guardia di Finanza e Guardia Costiera.

L’attacco in acque internazionali

Ma è quanto accaduto alla Ocean Viking a rivelare la drammatica escalation del controllo delle migrazioni nel Mediterraneo centrale. Domenica pomeriggio, alle 15:03 ora locale, la nave di Sos Mediterranee con 87 naufraghi a bordo – soccorsi in due diverse operazioni tra sabato notte e domenica mattina – è stata deliberatamente presa di mira in un attacco a fuoco da parte della Guardia Costiera libica.

L’episodio si è consumato in acque internazionali, a circa quaranta miglia nautiche dalla costa libica. La Ocean Viking, autorizzata dal Centro di coordinamento italiano a cercare un’altra imbarcazione in difficoltà, è stata avvicinata da una motovedetta di classe Corrubia. Dopo aver chiesto illegalmente alla nave umanitaria di lasciare la zona e dirigersi verso nord, due uomini a bordo della motovedetta hanno aperto il fuoco senza alcun preavviso.

L’assalto è durato almeno venti minuti ininterrotti. La motovedetta ha circondato la Ocean Viking, prendendo di mira deliberatamente i membri dell’equipaggio sul ponte. Il bilancio dell’attacco: fori di proiettile all’altezza della testa, distruzione di diverse antenne, quattro finestre rotte sul ponte, danni ai tre motoscafi di soccorso e ad altre attrezzature essenziali. Le ogive dei proiettili, schiacciate contro il ferro della nave, e gli oblò forati dalle raffiche testimoniano la violenza dell’aggressione.

Il paradosso delle motovedette italiane

Un dettaglio agghiacciante emerge dalla ricostruzione: la motovedetta utilizzata nell’attacco era stata donata dall’Italia nel 2023 nell’ambito del programma dell’Unione Europea “Support to Integrated Border and Migration Management in Libya”. Non è la prima volta: nel luglio 2023, la Ocean Viking aveva già subito un attacco simile da parte di una motovedetta analoga. “Nonostante le nostre richieste pubbliche”, denuncia la ong, “non è stata aperta alcuna indagine”.

L’inseguimento si è protratto per oltre venti minuti, con la motovedetta libica che sparava raffiche di mitragliatrice a nove-dieci nodi, circa un terzo della velocità massima della Ocean Viking. Un’esecuzione a fuoco lento, mentre a bordo 87 sopravvissuti e l’equipaggio temevano per la propria vita. Durante l’attacco, le squadre di Sos Mediterranee e dell’Ifrc hanno messo in sicurezza i naufraghi rifugiandosi all’interno della nave.

Il silenzio della Marina italiana

La Ocean Viking ha lanciato un segnale di soccorso e allertato la NATO, chiedendo protezione e assistenza. È stata indirizzata alla più vicina unità NATO, una nave della marina italiana. Ma la marina italiana non ha mai risposto alla chiamata. Il capitano ha dovuto esercitare la sua autorità superiore per impostare la rotta verso Siracusa, il porto di origine, per sbarcare tutti gli 87 sopravvissuti ed effettuare le riparazioni necessarie.

La nave doveva raggiungere il porto siciliano nel pomeriggio di ieri, con gli 87 naufraghi a bordo e un innumerevole quantitativo di fori sullo scafo. Nel frattempo, le organizzazioni non governative che finanziano le operazioni chiedono “che venga condotta un’indagine approfondita sugli eventi” e che “i responsabili siano assicurati alla giustizia”.

Le parole della Croce Rossa

“Apprendiamo con sconcerto quanto accaduto alla Ocean Viking, un episodio che ci lascia basiti e profondamente preoccupati dice – Rosario Valastro, presidente Croce Rossa Italiana -. Non è accettabile che operatori intervenuti per salvare 87 vite vengano attaccati a colpi d’arma da fuoco a seguito di un rescue.

La Ocean Viking è infatti una nave di ricerca e soccorso noleggiata da Sos Mediterranee in collaborazione con la Federazione internazionale delle società della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa.

Valeria Taurino, direttrice generale di Sos Mediterranee Italia, non usa mezzi termini: chiede la “cessazione immediata di ogni collaborazione europea con la Libia”. “Non possiamo accettare”, afferma, “che una guardia costiera riconosciuta a livello internazionale compia aggressioni illegali”.

La tragedia delle tre sorelle

Mentre il Mediterraneo si militarizza, continuano le tragedie silenziose. Tre bambine sudanesi di 17, 12 e 9 anni hanno perso la vita durante la traversata, viaggiando su un gommone insieme alla madre e altri due fratelli. In tutto sono state tratte in salvo 68 persone, arrivate a Lampedusa con la nave Nadir. I loro corpi sono stati trasferiti oggi dalla Sicilia attraverso il porto agrigentino di Porto Empedocle.

“Siamo profondamente affranti di fronte all’ennesima tragedia che ha provocato la morte di tre sorelle – dice Giorgia D’Errico, Save the Children Italia -. Anche in questo caso, a pagare il prezzo più alto di un sistema di soccorso e protezione inefficace, sono stati dei minori. Ci chiediamo, a quante morti di bambine, bambini e famiglie dovremo ancora assistere prima che si concretizzi un sistema coordinato di ricerca e soccorso in mare.

I numeri degli sbarchi

Statistiche Migrazioni 2025

40.000+ migranti sbarcati quest’anno

39.979 arrivi al 22 agosto 2025

105.833 persone nello stesso periodo del 2023

6.985 minori non accompagnati quest’anno

Secondo il cruscotto statistico del Viminale, sono state superate le 40.000 unità di migranti sbarcati quest’anno. Il dato, aggiornato al 22 agosto con 39.979 arrivi, è ben lontano dalle 105.833 persone dello stesso periodo del 2023, ma lievemente superiore al totale del 2024 (38.191 migranti al 22 agosto). Lieve diminuzione anche per i minori non accompagnati: 6.985 quest’anno contro gli 8.752 del periodo precedente.

Gli sbarchi non si fermano: un centinaio sabato sera dopo l’approdo della Nadir a Lampedusa, poi senza sosta altre decine per ogni barca fino a lunedì mattina con ulteriori sessanta persone. Numeri che si traducono in vite umane, in storie di disperazione e speranza che si infrangono contro le politiche di deterrenza.

È un provvedimento osceno

“È un provvedimento osceno – afferma Laura Marmorale, presidente Mediterranea Saving Humans -. Il governo blocca in porto una nave che sarebbe pronta a partire per continuare la sua attività di soccorso, attività necessaria visto il tragico bilancio dei naufragi delle scorse settimane a sud di Lampedusa. Si vendicano e ci colpiscono perché abbiamo salvato da morte certa dieci ragazzi e li abbiamo sbarcati nel più vicino luogo sicuro.

La presidente di Mediterranea non nasconde l’amarezza: “Intanto collaborano con quelle milizie che in Libia sono responsabili di ogni genere di abuso e violenza nei campi di detenzione e, in mare, sparano addosso alle navi umanitarie. E in Italia sanzionano chi soccorre. Non ci fermeranno con questi mezzi”.

La ong rivendica la propria scelta: “Alle ore 20:45 di sabato, Mediterranea ha attraccato al porto di Trapani, disobbedendo all’ordine del Viminale di dirigersi a Genova. Ora le dieci persone soccorse sono al sicuro e potranno ricevere le cure mediche e psicologiche adeguate”. Una decisione consapevole delle conseguenze: “Siamo consapevoli di quello che può comportare in un contesto in cui le operazioni di soccorso vengono sanzionate e criminalizzate, mentre i trafficanti di esseri umani e le violazioni sistematiche dei diritti umani restano impunite”.

Il Mediterraneo si conferma così il teatro di un paradosso che sfida la logica del diritto internazionale: mentre l’Europa finanzia chi spara sui soccorritori, punisce chi salva i naufraghi. In questo scenario distorto, dove il soccorso diventa reato e la deterrenza giustifica la violenza armata, resta aperta una domanda che interpella la coscienza collettiva: fino a che punto siamo disposti a militarizzare il mare nostrum per fermare chi fugge dalla guerra e dalla povertà?

La risposta, forse, non sta nei porti chiusi o nelle motovedette armate, ma nella capacità di riconoscere che dietro ogni salvataggio c’è semplicemente un atto di umanità che non dovrebbe mai essere considerato un crimine.