La svolta del 2%: l’Europa si riarma e riscrive la storia della difesa
L’Ue si allinea agli Stati Uniti in un’escalation che segna la fine di un’era. Ma questo riarmo di massa è una risposta a un pericolo imminente o il preludio a una nuova corsa agli armamenti?
Dopo oltre un decennio di dibattiti e promesse, l’Alleanza Atlantica segna una svolta storica. Per la prima volta dal vertice di Newport del 2014, tutti i Paesi membri della NATO (eccetto l’Islanda) hanno raggiunto l’obiettivo, a lungo discusso, di destinare il 2% del proprio Prodotto Interno Lordo (PIL) alle spese per la difesa. Un traguardo impensabile fino a pochi anni fa, che riflette un cambio di passo drastico e un nuovo scenario geopolitico, dove la sicurezza non è più data per scontata. I numeri, resi pubblici dall’ultimo rapporto dell’Alleanza, offrono uno spaccato chiaro e incisivo di un’Europa che si sta riarmando a ritmi serrati.
Il documento, aggiornato a giugno 2025, rivela una crescita impressionante dei bilanci militari. La spesa media dell’Alleanza ha raggiunto il 2,76% del PIL, in forte aumento rispetto al 2,61% del 2024. Questo trend si riflette in modo ancora più evidente nei Paesi europei e in Canada, dove la spesa congiunta è salita al 2,27%, superando ampiamente l’1,99% del 2024 e l’1,74% del 2023. Questi dati confermano un’accelerazione senza precedenti, che ha trasformato le intenzioni in azioni concrete.
La nuova mappa della spesa militare
Gli Stati Uniti, come prevedibile, mantengono saldamente il primato in termini assoluti, con un budget per la difesa che si attesta a circa 980 miliardi di dollari, pari al 3,22% del PIL. Ma è la crescita dei Paesi europei a segnare il vero punto di svolta. L’Italia, in particolare, ha mostrato un’ascesa notevole, portando la sua spesa a oltre 45 miliardi di euro, in netta crescita rispetto ai 18 miliardi del 2014, attestandosi al 2,01% del PIL. Questo incremento testimonia un impegno concreto a conformarsi agli standard dell’Alleanza.
Tra i principali attori europei, il Regno Unito si posiziona in cima con un investimento di oltre 70 miliardi di sterline (circa 90,5 miliardi di euro), corrispondenti al 2,40% del PIL. A seguire, la Francia, che con 66,5 miliardi di euro raggiunge il 2,05% del PIL. La Germania, pur non avendo ancora dati definitivi per il 2025, ha già superato la soglia nel 2024, con un budget di oltre 86,6 miliardi di euro. La Spagna chiude il gruppo delle maggiori economie europee, con una spesa di poco più di 33 miliardi di euro, pari al 2% del PIL.
Non sono solo le grandi potenze a trainare la crescita. Alcuni Paesi hanno superato ampiamente l’obiettivo del 2%, dimostrando un impegno eccezionale. La Polonia, per esempio, si distingue con un investimento di ben 133,7 miliardi di zloty (circa 44,3 miliardi di euro), che corrisponde a un impressionante 4,48% del PIL. Anche i Paesi Bassi hanno superato la soglia, con 26,1 miliardi di euro, pari al 2,49% del PIL.
Chi guida la corsa al riarmo?
Altre nazioni, pur con bilanci inferiori in valore assoluto, mostrano una percentuale di spesa per la difesa significativamente alta. La Norvegia investe 154 miliardi di corone (16,5 miliardi di euro), pari al 3,35% del PIL, mentre la Danimarca destina 90,6 miliardi di corone (14,3 miliardi di euro), equivalenti al 3,22% del PIL. Anche la Grecia, con 7,1 miliardi di euro, ha raggiunto una quota del 2,85% del PIL. Questi numeri non lasciano spazio a dubbi: la deterrenza e la sicurezza sono tornate ad essere priorità assolute nelle agende politiche.
La corsa al riarmo che sta caratterizzando il panorama internazionale solleva interrogativi cruciali. Questo sforzo economico imponente segna la fine di un lungo periodo di pace relativa, durante il quale molti Paesi europei avevano ridotto drasticamente le loro spese militari. La minaccia percepita, o reale, è stata sufficiente a rimettere in moto una macchina complessa e costosa, che sta ridefinendo gli equilibri mondiali.
L’approccio della NATO, basato su un rafforzamento collettivo, risponde a una visione di sicurezza condivisa. Ma la domanda che rimane aperta è se questa escalation sia l’unico percorso possibile per la stabilità o se, al contrario, non porti con sé il rischio di innescare nuove tensioni e di distogliere risorse preziose da settori fondamentali come sanità, istruzione e ambiente. La storia ci insegna che l’equilibrio tra deterrenza e dialogo è sottile, e oggi più che mai, il mondo osserva con attenzione come l’Occidente deciderà di muoversi su questo filo precario.
