Renzi fa il bello e il cattivo tempo. Ma per Mattarella va bene così
COLLE SILENZIOSO I buoni propositi del presidente della Repubblica ad oggi sembrano rimasti lettera morta di Daniele Di Mario
di Daniele Di Mario

Il rapporto tra leggi approvate e fiducie è superiore al 49% secondo i dati diOpenpolis : praticamente una legge su due viene licenziata con un voto di fiducia. Nessun presidente del Consiglio dai tempi del primo governo Prodi ha fatto meglio (o peggio): secondo in classifica il governo Monti (45%), terzo il governo Prodi II (33%). Sull’Italicum il governo ha posto ben quattro fiducie e questo nonostante Mattarella nel suo discorso d’insediamento abbia spiegato che, sulla legge elettorale, “le singole soluzioni competono al Parlamento, nella sua sovranità”. Quattro voti di fiducia su una legge che ha come obiettivo condividere con tutti, maggioranza e opposizione, le regole del gioco non sono proprio in linea con gli auspici di Mattarella, il quale, tuttavia, in quella circostanza non ha fatto una piega nonostante le proteste di minoranza Pd, opposizioni e pezzi della maggioranza, tutti convinti che l’Italicum contenesse profili di incostituzionalità non rilevati dal Quirinale. L’ultima fiducia è stata invece messa dal governo Renzi al Senato per blindare il maxiemendamento dell’esecutivo sulla riforma della Scuola e la prossima verrà posta alla Camera, sempre sul ddl Scuola. Porre la fiducia sul maxiemendamento vuol dire però impedire ogni dibattito parlamentare, pregiudicare la possibilità di emendare il testo. Insomma, esautorare il Parlamento delle sue prerogative, come denunciato dalle opposizioni che chiedono da tempo un intervento dal Colle che però non arriva. Nel discorso a Montecitorio Mattarella aveva però ammonito anche sull’abuso di decretazione d’urgenza. Renzi viene infatti spesso accusato di fare eccessivo uso dei decreti legge, sostituendo il potere esecutivo a quello legislativo e scippando al Parlamento l’iniziativa legislativa.
Come tutte le democrazie, l’assetto costituzionale italiano si basa sul principio della divisione dei poteri. Il governo è il detentore del potere esecutivo, quello legislativo è in mano al Parlamento. Nonostante questo, la nostra Costituzione prevede che anche il governo concorra alla produzione legislativa attraverso decreti legge e decreti legislativi. In quest’ultimo caso il governo legifera sulla base di una legge delega votata dalle Camere. Il governo Renzi è riuscito a porre la fiducia anche su una legge delega, quella sul Jobs Act, caso più unico che raro. I numeri però rivelano che Renzi non è il premier che nella Seconda Repubblica ha fatto più uso di decreti legge, un record che spetta al primo governo Prodi. Il punto però è un altro. L’articolo 77 della Costituzione subordina il potere del governo di emanare decreti legge a casi “di necessità di urgenza”. Circostanza che sta assumendo un’interpretazione tutta sua. Anche la presidente della Camera Laura Boldrini ha accusato il governo Renzi di un utilizzo eccessivo dei decreti legge. Da più parti è giunto l’allarme per la mancanza di necessità e urgenza su molti testi varati dall’esecutivo. La produzione legislativa è ormai un’esclusiva del governo come testimonia l’agenda dei lavori di Camera e Senato. Eppure, di fronte all’abuso della decretazione d’urgenza, che si tramuta in un escamotage per portare alle Camere leggi bell’e fatte con l’obbligo di convertirli entro 60 giorni, chiedendo di fatto una ratifica coatta al Parlamento, sinora Mattarella non ha ancora detto nulla. Un atteggiamento che stride con l’iperattivismo e l’interventismo di Napolitano, ma anche con le picconate di Cossiga e gli “intrighi” di Scalfaro. Ma è anche vero che i presidenti della Repubblica tendono a cominciare a esercitare tutte le proprie prerogative previste dalla Costituzione dopo il primo semestre. Mattarella è in tempo.
