Affitti brevi, il governo frena sulla stangata fiscale: maggioranza cerca il compromesso al 23%

Forza Italia e Lega ottengono una possibile revisione della norma che avrebbe portato la cedolare secca dal 21% al 26%. Le associazioni di settore avevano denunciato un colpo durissimo per un comparto da 66 miliardi di Pil.

La proposta di innalzare l’aliquota dal 21% al 26% spacca il governo. Forza Italia e Lega premono per una revisione, mentre le associazioni denunciano una “stangata” per un settore che vale 66 miliardi di Pil. Il ritocco fiscale previsto nella bozza di manovra non passa inosservato. L’esecutivo starebbe valutando un passo indietro sulla stretta agli affitti brevi, con possibili modifiche da introdurre attraverso un emendamento durante l’esame in Commissione Bilancio al Senato.

La misura, che prevede l’aumento dell’aliquota della cedolare secca dal 21% al 26%, ha scatenato le proteste delle associazioni di categoria e creato frizioni all’interno della coalizione di governo. Tra le ipotesi al vaglio degli sherpa dell’esecutivo figura un compromesso al 23%, una via di mezzo che potrebbe ricomporre le tensioni interne alla maggioranza. Sul tavolo anche l’opzione di una tassazione differenziata, concentrata principalmente sulle piattaforme di intermediazione online. Una soluzione che però solleva dubbi operativi, come sottolinea Dario Pileri, presidente di Pro.loca.tur: “La quasi totalità degli immobili destinati a bed & breakfast e case vacanze viene affittata proprio tramite le piattaforme online”.

Il nodo del censimento e la difficoltà di tracciare gli intermediari

Pileri mette in guardia anche sulla praticabilità di una tassazione mirata ai soli immobili gestiti da intermediari: “Sarebbe difficile perché non esiste un censimento completo degli operatori, e si può risalire soltanto al proprietario dell’immobile”. Un ostacolo tecnico non da poco per chi vorrebbe colpire selettivamente le grandi piattaforme senza penalizzare i piccoli proprietari. L’impatto economico del settore è tutt’altro che marginale. Secondo le stime di Aigab, gli affitti brevi hanno generato nel 2024 un contributo al Pil nazionale di 66 miliardi di euro: 13 miliardi da prenotazioni dirette, 52 miliardi dall’indotto turistico e 1 miliardo da ristrutturazioni e manutenzioni.

Le residenze extra alberghiere censite sulle piattaforme turistiche online ammontano a circa 500mila unità sparse su tutto il territorio nazionale. I dati del Ministero dell’Economia confermano l’attrattività della cedolare secca come regime fiscale: nel 2023 hanno scelto questa opzione 3,1 milioni di proprietari, tra affitti brevi e locazioni a lungo termine con canone concordato, generando un gettito effettivo superiore ai 3,7 miliardi di euro. Un trend in costante crescita, alimentato dalla ripresa del turismo post-pandemia e dalla trasformazione urbana di molte metropoli.

Venezia e Firenze in testa: affitti brevi oltre il 30% del mercato

L’Agenzia delle Entrate fotografa un fenomeno particolarmente concentrato in alcune città d’arte. A Firenze le locazioni con durata inferiore ai 12 mesi superano il 30% del totale, mentre a Venezia si attestano al 17%. Napoli, Palermo, Roma e Torino registrano invece percentuali inferiori al 5% nel 2023, segnalando dinamiche territoriali molto diverse.

Anche la redditività varia enormemente a seconda della destinazione. Un appartamento affittato su Airbnb a Bari genera in media 6.500 euro lordi all’anno, a Napoli circa 8mila euro e a Palermo 9mila. La forbice si allarga nelle città del Nord: Bologna e Milano si posizionano intorno ai 12mila euro annui, mentre Roma sale a quota 20mila. Il podio spetta alle città lagunari e toscane: Firenze tocca i 23mila euro e Venezia svetta con oltre 26mila euro di ricavi medi annui per immobile.