Archivi aperti e mea culpa, ipotesi del Papa sull’Argentina

Archivi aperti e mea culpa, ipotesi del Papa sull’Argentina
10 maggio 2015

di Iacopo Scaramuzzi

Lita Boitano ha 83 anni ed è la madre di due figli ‘desaparecidos’ che furono sequestrati e ammazzati dalla dittatura argentina (1976-83). Pochi giorni fa ha incontrato prima il Papa, poi un officiale della Segreteria di Stato vaticana. A loro ha fatto due richieste, aprire gli archivi vaticani, perché ha la prova che il Vaticano dispone di dettagliate informazioni sui ‘desaparecidos’ argentini, e promuovere un ‘mea culpa’ della Chiesa argentina e dello stesso Vaticano per le complicità all’epoca della dittatura militare. Su entrambe le questioni le è stato assicurato, come riferisce in questa intervista, che la Santa Sede provvederà. Mercoledì 22 aprile Lita Boitano, presidente dei Familiares de Desaparecidos y Detenidos por razones Politicas, accompagnata a Roma dalla giornalista italo-argetina Dora Salas, aveva ottenuto di assistere all’udienza generale del Papa in piazza San Pietro in prima fila. Aveva con sé una copia del libro ‘Cielo libre, imaginar la libertad’, pubblicato dalla sua associazione la prima volta nel 1981. A conclusione dell’udienza, il Papa, ‘dopo aver salutato altri fedeli, i novelli sposi, è arrivato dove eravamo noi. Sono cattolica, non conoscevo Papa Francesco quando era in Argentina. L’ho salutato come ‘padre Jorge’, e mi sono presentata: ‘Sono rappresentante dei famigliari dei desaparecidos e dei detenuti politici e a nome dei 30mila desaparecidos le diamo questo libro’. Lui lo ha sfogliato, gli ho fatto vedere la dedica, ha ringraziato. Se ne stava andando, ma io volevo fargli due richieste, allora gli ho preso un braccio: ‘Come Papa Francesco adesso devo farle due richieste’, gli ho detto. Lui si è fermato ad ascoltare. ‘La prima richiesta è l’apertura totale degli archivi’. Sappiamo che in piccolissima parte l’apertura degli archivi vaticani è già iniziata. Singoli casi, richieste individuali: le nonne di plaza de Mayo, il caso del vescovo Angelelli, per il quale, grazie all’intervento di Papa Francesco, il Vaticano ha inviato documenti essenziali alla conclusione del processo. Ma noi chiediamo l’apertura totale dell’archivio’.

Il 4 agosto del 1976 mons. Angelelli morì, secondo la versione ufficiale invalsa più di quarant’anni, in un incidente di auto che solo a luglio del 2014 il tribunale di La Roja, con la condanna all’ergastolo dell’ex generale dell’esercito Luciano Benjamin Menendez, 86 anni, e dell’ex vice commodoro Luis Fernando Estrella, 82 anni, ha accertato essere stato non casuale ma procurato per eliminare un critico vocale della dittatura argentina. Il Papa, ha proseguito Lita Boitano, ha risposto subito: ‘Si sta facendo, si completerà’ l’apertura degli archivi’. Perché Lita Boitano pensa che il Vaticano abbia un archivio sui ‘desaparecidos’ argentini? ‘Perché ne ho la prova’, risponde tranquilla l’anziana signora argentina nel corso dell’intervista via skype. ‘Ho vissuto a Roma dal 1979 al 1983. Avevo scritto al Vaticano informandoli sui miei figli, ma non avevo avuto risposta. Appena arrivata sono andata dove sapevo di dover andare, al pontificio consiglio Giustizia e pace, a Trastevere. Mi chiedono chi sono, gli spiego che mi chiamo Angela Boitano e sono madre di due desaparecidos. Il funzionario è andato a prendere una scheda, che ho visto, e c’era scritto il mio nome, e poi i seguenti dati: madre di Michelangelo Boitano, sparito il 29 maggio del 1976, e di Adriana Silvia Boitano, sparita il 24 aprile del 1977. Avevano segnato e archiviato tutto. Non posso dire che ci siano altre informazioni, ad esempio i campi di concentramento dove furono portati e ammazzati, ma sono sicura che l’elenco dei desaparecidos più completo sia quello del Vaticano’.

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Il funzionario che la ricevette, ricorda Lita Boitano, di chiamava Filibeck: Giorgio Filibeck (1945-2004), giurista e officiale della Santa Sede presso Iustitia et pax, stato responsabile in materia di diritti dell’uomo e di diritto umanitario dal 1969 al 2004. ‘Dopo quel giorno non ho saputo più niente’. Più in generale, ‘in Argentina in quegli anni c’erano sacerdoti che confessavano tanto i desaparecidos quanto chi li torturava… C’erano i rapporti nelle scuole, negli ospedali dove partorivano le ragazze incinte sequestrate e poi un’organizzazione, con l’aiuto di suore e infermiere, dava questi bambini a militari che non avevano figli o altri che non sapevano l’origine dei nati’, mentre le ragazze venivano uccise. Un altro esempio: il poeta Juan Gelman, padre di un desaparecido, suo figlio era stato sequestrati come la sua donna incinta. Anni dopo, in Vaticano gli dissero che ‘il bambino era nato: in Vaticano si sapeva. Lo trovò anni dopo, era stato dato chissà perché a una coppia di poliziotti dell’Uruguay’. Ancora, ‘degli ottanta vescovi dell’epoca, otto, nove erano critici nei confronti dell’Argentina e riportavano le denunce in Vaticano, dove si sapeva che venivano ammazzate persone, preti, suore, sequestrati, torturati, bambini spariti’. Per Lita Boitano, ‘tutto questo deve uscire’. La presidente dei Familiares de Desaparecidos y Detenidos por razones Politicas continua poi il racconto dell’udienza generale del Papa. Dopo la prima richiesta, ‘gli ho detto che avevo una seconda domanda. Lui mi ha messo le mani sulle spalle. Io gli ho domandato: ‘Quando avremo un’autocritica della gerarchia cattolica argentina?’. I vescovi argentini non hanno mai parlato della tortura, della politica di sterminio. E non basta quello che disse Giovanni Paolo II a un Angelus del 28 ottobre 1979 (quando evocò, così il sito internet vaticano, ‘il dramma delle persone perdute o scomparse’, ndr.), non fu una denuncia. Non sapevo quale sarebbe stata la reazione del Papa, se non era una richiesta benvenuta. ‘Questo anche lo faremo, ho parlato con Laterza, si sta preparando’, ha risposto il Papa. Sempre tranquillo, in atteggiamento di dialogo, molto vicino. Io gli ho detto: ‘Adesso le dirò un’altra cosa che le piacerà: io ho vissuto come esule a Roma cinque anni (dal 1973 al 1983, ndr.) e ringrazio Dio ogni giorno di non aver perso la fede’. Il Papa alla fine mi ha detto, come dice sempre, ‘Prega per me’, e se n’è andato.

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‘Io, prosegue il racconto di Lita Boitano – non sapevo chi fosse Laterza’. Il giorno dopo l’ambasciatore argentino presso la Santa Sede, Eduardo Felix Valdes, era presente alla presentazione della nuova edizione del nostro libro’ a Casa Argentina, struttura dell’ambasciata argentina presso il Quirinale a Roma. ‘Mi ha detto che lui sapeva chi è Laterza e ha organizzato un incontro per il giorno successivo. Giusepep Laterza è un monsignore molto Giovane, ha 44 anni, ci ha ricevuto la mattina assieme a un avvocato e ci ha spiegato che da più di un anno si è cominciato a mettere in ordine quegli archivi, il personale non è molto, i documenti, le lettere manoscritte, sono tante, e ci vuole tempo prima di mettere tutto insieme, classificare, scannerizzare, e poi digitalizzare. Ma ha spiegato che sono già arrivati alla digitalizzazione’. L’ambasciatore argentino presso la Santa Sede, presente all’incontro, ‘ha sottolineato che sarebbe bene fare presto ed ha suggerito che se l’archivio venisse presentato ad esempio a dicembre 2015, quando comincia il giubileo della misericordia, sarebbe importante per tutti i paesi nel mondo che hanno sofferto e soffrono ancora delle dittature, per la Chiesa cattolica e anche per Papa Francesco’. Quanto al secondo tema, la richiesta di un’autocritica da parte ‘della Chiesa argentina e del Vaticano’, mons. Laterza ha fatto riferimento all’intenzione di scrivere ‘un documento, ma ha sottolineato che la questione è molto seria: alcuni si sono comportati male, altri no. Di certe persone, alcuni parlano male, altri bene. Mi ha fatto l’esempio di mons. Laghi’.

Pio Laghi è stato nunzio apostolico in Argentina dal 1974 al 1980. ‘Io gli ho raccontato che avevo incontrato monsignor Laghi con altre madri di desaparecidos, era il 1979, gli abbiamo detto che i nostri figli erano stati sequestrati da tre anni, e lui ha risposto: tre anni è troppo tempo, se sono stati torturati i militari non li lasceranno in libertà. Io sono rimasta allibita di questa risposta brutale. Incontrai anche monsignor Tortolo (Adolfo Servando Tortolo, vicario castrense nell’Argentina della dittatura, ndr.): mi ha ricevuto in una piccola stanza in una chiesa accanto al ministero della Marina pochi giorni dopo il sequestro di mio figlio. Mi disse che erano stati i militari che avevano sequestrato suo figlio. Mesi dopo mi telefonò e mi convocò nuovamente: signora, mi disse con due libri davanti, suo figlio in che libro sarà, in quello dei vivi o in quello dei morti? Sfogliò i libri ma non trovò il nome. Signora, mi disse, io direi che non lo cerchi più. Ho raccontato queste cose – prosegue Lita Boitano – a mons. Laterza. L’incontro, che doveva durare 15 minuti, è durato un`ora e mezza. Noi conosciamo i fatti, possiamo provare le nostre accuse. Sono sicura che nella Chiesa c’è chi conosceva perfettamente dove era andato mio figlio, in quale campo di concentramento della marina. Noi abbiamo bisogno anche del vostro aiuto in Argentina, mi ha detto mons. Laterza, e si è impegnato a telefonare in Argentina e chiedere alla conferenza episcopale di incontrarci in modo che possiamo raccontare tutto quello che ho detto a lui’. Ad ogni modo, ‘mons. Laterza ci ha spiegato che on si può fare solo una dichiarazione, è un documento che prende molto tempo’, evocando la fine del 2016. ‘Allora io gli ho detto: monsignor Laterza, le prove di quello che hanno fatto le abbiamo noi.

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La fine del 2016 è lontana, i responsabili militari di quell’epoca hanno più di ottant’anni, se non sono già morti, io faccio 84 anni a luglio, questo penso che sia il mio ultimo viaggio in Italia… Non abbiamo tempo da perdere! Sarebbe bello che il documento di autocritica uscisse nello stesso momento in cui vengono aperti gli archivi. Lui mi ha preso la mano. Non mi ha dato una risposta. La mia richiesta non è stata accettata, neanche respinta’. Lita Boitano si dice fiduciosa. L’incontro con l’officiale della Segreteria di Stato e il Papa, le promesse di un intervento, anche se la tempistica non è chiara, sono per lei motivi di grande soffisfazione. Sembrano lontani i tempi nei quali, in occasione dell’incontro dell’episcopato latino-americano di Puebla nel 1979, chiese senza successo un incontro con Giovanni Paolo II consegnando una lettera ‘a un cardinale messicano’ e all’allora superiore dei gesuiti, padre Pedro Arrupe. Lontani gli anni in cui, nel 1979, la donna riuscì ad avvicinare Giovanni Paolo II. Anche in quel caso, un’udienza generale in piazza San Pietro. ‘Gli dissi che ero madre di due desaparesidos, che volevo incontrarlo. Il segretario disse a me e alle altre madri di andare il giorno dopo a fare richiesta per un incontro. Era giovedì. Venimmo ricevuti da un gesuita, Fiorello Cavalli. Ci disse: vi chiedo scusa, perché il Papa non potrà ricevervi perché sabato parte per un viaggio all’estero. Si alzò in piedi una delle altre donne con cui ero andata in Vaticano: erano stati sequestrati e spariti suo figlio, il marito, che era dell’Opus dei e sparì quando si mise a cercarlo, la madre e anche il genero, che era un ufficiale della marina che venne buttato dall’aereo (nel Rio de la Plata, ndr.): ‘Allora, disse, padre, il giorno in cui vi ammazzeranno tutti, resteremo a guardare’. Poi ce ne andammo senza salutare’.

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