Caso Poggi, “imbrattata di sudore e materiale ematico”: l’impronta 33 tra scienza e controversie
Un approfondimento sulle consulenze tecniche che dividono pm e difese nella rivalutazione della traccia palmare chiave del processo, con focus sulle metodologie e le criticità dell’analisi forense
Chiara Poggi e Alberto Stasi
Un dettaglio che potrebbe mutare il corso dell’indagine torna a infiammare il caso Chiara Poggi a Pavia, coinvolgendo ancora una volta i nomi di Alberto Stasi, condannato nel 2015, e del più recente indagato Andrea Sempio. Al centro del dibattito è la traccia numero 33 – un’impronta palmare rinvenuta nel 2007 sulle scale di casa Poggi – la cui natura e attribuzione restano oggi fortemente contestate da perizie contrapposte.
Secondo gli ultimi consulenti difensivi di Stasi, incarnati negli esperti Oscar Ghizzoni, Pasquale Linarello e Ugo Ricci, l’impronta non è una semplice macchia casuale o un segno fugace. Le prove sperimentali svolte hanno rivelato che la traccia testimonia un contatto intenso e fermo sulla superficie d’intonaco, probabilmente lasciata da una mano “imbrattata di sudore e materiale ematico”. Questa tesi mette in discussione l’efficacia delle analisi svolte dai Ris nel 2007, che – a loro giudizio – non avrebbero potuto rilevare correttamente la presenza di sangue a causa dell’interazione chimica tra le sostanze usate e il materiale murario.
Il gruppo di esperti difensivi ha simulato il contatto palmare sulla parete riproducendo condizioni analoghe e ha concluso che la posizione più coerente per imprimere quell’impronta sarebbe stata “sporgendosi dalla soglia della scala di accesso alla cantina”, smentendo l’ipotesi che derivi da un contatto accidentale durante una normale discesa delle scale.
La procura di Pavia, tuttavia, sta portando avanti una nuova consulenza affidata al Racis dei carabinieri per valutare in modo definitivo la natura della traccia; la posizione è tutt’altro che chiara: secondo i pm, supportati dalle perizie di esperti quali Gianpaolo Iuliano e Nicola Caprioli, l’impronta mostrerebbe 15 punti di perfetto sovrapposizione con la mano di Andrea Sempio, contrariamente a quanto sostenuto inizialmente.
L’aspetto più controverso riguarda invece la qualità della traccia stessa. I difensori di Sempio e i consulenti della famiglia Poggi contestano la validità delle nuove conclusioni, richiamando alla cautela e sottolineando che molti dei segni sul muro sono solo tracce vaghe e ambigue, probabilmente confondibili con alterazioni dell’intonaco piuttosto che con caratteristiche dell’impronta umana. Per loro la stampa palma è da considerarsi ancora non utilizzabile per alcun confronto probatorio.
La richiesta di chiarimenti riguarda non solo la scientificità delle tecniche utilizzate, ma apre scenari inquietanti sulla verità processuale. Con l’assenza del campione originale di intonaco, come confermato dal procuratore aggiunto Stefano Civardi, il caso si trova davanti a un bivio: restituire giustizia a Chiara Poggi o perpetuare un’insoddisfacente ambiguità investigativa?
La complessità della situazione fa emergere un problema ben più vasto: fino a che punto il limite tecnico influenza i fatti giudiziari? E quali garanzie offre ancora l’analisi forense in casi tanto appassionanti quanto controversi? È in questo turbine di dubbi che si staglia il futuro del processo e la ricerca di una verità che va ben oltre le impronte sul muro.
