Politica

Montecitorio lancia l’offensiva: “Bartolozzi indagata? La Procura non può tacere”

La maggioranza irrompe nella bufera del caso Almasri con una mossa che sa di sfida aperta: chiarimenti immediati sulla dottoressa Bartolozzi, o il Parlamento busserà alle porte della giustizia con i guanti di ferro. Al termine di una seduta elettrica della Giunta per le autorizzazioni di Montecitorio, il deputato di Fratelli d’Italia Dario Iaia ha lanciato l’ultimatum: la Procura di Roma deve rispondere a un quesito secco, “se è iscritta nel registro degli indagati, per quale reato e quando è il luogo in cui si è consumato il reato”. Non un capriccio, ma un diritto costituzionale invocato per difendere le mura di Palazzo Chigi da un’indagine che potrebbe sfociare in un conflitto di attribuzione.

Il sipario si alza su una trama intricata, dove politica e giustizia si intrecciano come fili di un nodo gordiano. Tutto ruota attorno al caso Almasri, quel groviglio di accuse che ha già messo nel mirino i ministri Nordio e Piantedosi, insieme al sottosegretario Mantovano. La maggioranza non indietreggia: il voto sulla richiesta di chiarimenti è fissato per domani alle 9, un orario che profuma di ultimatum. “La Corte Costituzionale, con la sentenza 87 del 2012, ha chiarito i confini”, tuona Iaia, citando il verdetto che assegna alla Procura la qualificazione giuridica del reato, ma impone una “leale collaborazione” con il Parlamento. Se emerge un indagato “laico” – termine che qui evoca un civile, non un prelato – l’aula ha il potere di pretendere risposte. Per valutarlo, per smascherarlo: è un reato ministeriale o una bufala investigativa?

Immaginate la scena: corridoi di Montecitorio percorsi da sussurri tesi, deputati che sfogliano codici come bibbie laiche. Iaia non lascia spazio a fraintendimenti. “Nel momento in cui il Parlamento viene a conoscenza di un fatto di reato che riguarda un indagato laico, può richiedere all’autorità giudiziaria chiarimenti”. E la Procura? “È tenuta a rispondere”, per consentire all’aula di discernere se si tratta di un illecito che tocca le funzioni ministeriali. Altrimenti, boom: conflitto di attribuzione contro la procura per non aver trasmesso gli atti al Tribunale dei ministri. Un’arma letale, sospesa come una spada di Damocle su un equilibrio istituzionale già fragile.

Il voto che non ferma l’orologio

Ma non è ritorsione, giura Iaia, è difesa delle prerogative. “Prima di arrivare al conflitto di attribuzione, possiamo capire se è indagata o meno e per quale reato”. Niente ostruzionismo: il 30 settembre si vota sull’autorizzazione a procedere contro i ministri, e i lavori filano spediti. È una parentesi, dice, ma cruciale. La Camera deve essere “messa nelle condizioni di capire se il ragionamento della Procura è condivisibile”. Nulla quaestio, allora, o allarme rosso: elementi che puntano a un reato ministeriale, e via con le barricate costituzionali.

Questa non è solo cronaca di un’aula. È il termometro di un sistema che scricchiola sotto il peso delle inchieste. Da un lato, la segretezza investigativa, baluardo della Procura per non inquinare prove. Dall’altro, il Parlamento che reclama trasparenza per non essere scavalcato. La sentenza del 2012, emessa in un’epoca di Tangentopoli 2.0, aveva già tracciato la linea: collaborazione, non opacità. Oggi, nel caso Almasri – con le sue ombre su migrazioni, sicurezza e presunti illeciti – quel confine si fa poroso. Iaia lo riassume con un chiasmo tagliente: “Ci interessa difendere le prerogative del Parlamento”. Punto. Non un passo indietro.

E se la Procura tacesse? Il conflitto di attribuzione non è un bluff. È lo strumento estremo per rimettere la palla alla Consulta, dove giudici in toga nera decidono se la giustizia ha invaso il campo politico. Ricordate i precedenti: da Mills a Berlusconi, da Genovese a De Girolamo. Casi dove l’aula ha invocato il suo scudo, e la storia ha registrato verdetti misti. Qui, con Bartolozzi al centro – figura chiave, forse ponte tra ministeri e indagini – il rischio è alto. La maggioranza, coalizzata, punta a un sì unanime domani. Ma l’opposizione? Silenzio radio, per ora. O forse, un’arma a doppio taglio.

Tra le pieghe della sentenza: un duello inevitabile

Analizziamo il cuore pulsante: la sentenza 87/2012 non è un reperto archeologico, ma una bussola viva. Afferma che solo la Procura qualifica il reato, ma obbliga a un dialogo con Montecitorio. “Sulla base di leale collaborazione”, recita Iaia, parafrasando il testo sacro. Se la risposta arriva, bene: la Camera valuta, autorizza o blocca. Se no, il conflitto s’innesta, paralizzando l’inchiesta fino a nuovo ordine. È un meccanismo che tutela i poteri, ma rischia di politicizzare la giustizia. Critici da sinistra lo bollano come “scudo per i potenti”. La maggioranza ribatte: “Diritti, non privilegi”.

Nel frattempo, il caso Almasri pulsa come una ferita aperta. Accuse di favoritismi, presunti reati su permessi di soggiorno, intrecci con la criminalità. Nordio, guardasigilli, Piantedosi, interno, Mantovano, sicurezza: nomi pesanti, sotto torchio. La richiesta di autorizzazione a procedere è il nodo gordiano, da sciogliere entro fine mese. La mossa su Bartolozzi? Un colpo di sonda, per testare il terreno. “Non c’è nessun interesse dilatorio”, assicura Iaia, e i lavori proseguono. Ma sotto la superficie, ribolle la domanda: chi indaga chi, in questa partita a scacchi istituzionale?

Il domani alle 9 deciderà il primo round. La maggioranza, con Fratelli d’Italia in testa, ha le carte in regola per un sì bulgaro. Eppure, in politica italiana, nulla è scontato. La Procura di Roma, con i suoi faldoni sigillati, potrebbe rispondere con un laconico “no comment”. E allora? Il Parlamento non si arrende: chiarimenti o guerra. In un Paese dove la giustizia è cronaca quotidiana, questo scontro non è solo su un nome, Bartolozzi. È sul futuro dei poteri, divisi ma indivisibili. Montecitorio tiene il fiato sospeso.

Pubblicato da
Maurizio Balistreri