Nuova bocciatura di Sanchez, ora due mesi per evitare ennesime elezioni in Spagna

26 luglio 2019

La nuova bocciatura del leader socialista Pedro Sanchez (124 sì, 155 no e 67 astensioni) nel secondo voto di investitura fa partire il cronometro istituzionale: di qui a due mesi, salvo un reincarico che vada a buon fine, la Spagna tornerà alle urne senza che siano stati risolti – e neanche affrontati – i numerosi problemi economici, politici e istituzionali del Paese. Nonostante un’offerta dell’ultimo minuto di Unidas Podemos lanciata nel suo discorso dal leader Pablo Iglesias, i negoziati per un accordo di governo fra le sinistre sono naufragati definitivamente, mentre è iniziata la guerra delle responsabilità. Cruciale e’ stata l’astensione del partito della sinistra radicale Podemos, guidato da Pablo Iglesias, con il quale non e’ stato raggiunto un accordo per un governo di coalizione delle forze di sinistra, nonostante gli intensi negoziati nei tre mesi trascorsi dalle elezioni di fine aprile.

Questo avvicina la Spagna a nuove elezioni anticipate, le quarte in quattro anni: il leader del Psoe ha due mesi di tempo, fino al 23 settembre, per arrivare a un’intesa e ripresentare una candidatura; la sua e’ decaduta e Sanchez deve ottenere una nuova chance dal re che l’aveva designato il 6 giugno scorso. Felipe VI ha gia’ fatto sapere che terra’ nuove consultazioni. In caso di nuova bocciatura, si va automaticamente a elezioni il 10 novembre. Uno scenario da incubo che il leader del Psoe – uscito vincitore dalle legislative del 28 aprile scorso ma senza una maggioranza chiara per governare – ha cercato di evitare fino all’ultimo con intensi negoziati, che pero’ sono naufragati sulla suddivisione dei ministri. I colloqui, partiti in salita in un clima di sfiducia reciproca, sono stati segnati negli ultimi giorni da ultimatum reciproche e fughe di notizie.

La settimana scorsa Iglesias ha annunciato che rinunciava a far parte del governo, in cambio di ministri di peso e non semplicemente “decorativi”; nel mirino, in particolare il dicastero del Lavoro. Proprio su questo si e’ appuntata la proposta in extremis presentata dal leader di Podemos durante l’ultimo intervento in aula prima del voto: la rinuncia al ministero del Lavoro in cambio delle competenze sulle politiche attive per l’impiego. Ma non c’e’ stato nulla da fare. “Aspiro a guidare un governo, ma non a qualunque costo ne’ un governo qualsiasi”, ha sottolineato Sanchez nel suo discorso in Parlamento, una volta capito che non avrebbe avuto i voti necessari a fronte dell’annunciata astensione di Podemos. “Lei continua a non capire che abbiamo bisogno di un governo coerente e coeso, non di due governi in uno”, ha aggiunto, accusando Iglesias di voler prendere “il controllo” dell’esecutivo e per questo di essere piu’ interessato alle poltrone che al contenuto.

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“Non sono mai stati problemi sul programma a impedire l’accordo, il problema erano i ministri”, ha denunciato con forza in aula. Ugualmente dura la risposta di Iglesias, convinto che “sia difficile negoziare in 48 ore quello che non avete voluto negoziare in 80 giorni: “Faccia quello che non e’ stato in grado di fare per tre lunghi mesi: negoziare un governo con rispetto per il partner”. Il fallimento lascia quindi uno scenario di ingovernabilità e un intervallo di appena due mesi perché i vari partiti – ma in primis Psoe e UP – possano porvi rimedio.

PSOE

I socialisti del Psoe hanno due obbiettivi da conseguire, che nell’attuale situazione sono di fatto contrastanti: il primo, che è anche quello più personale dello stesso Sanchez, è quello di tornare alla Moncloa da partito vincitore delle elezioni; il secondo è riconquistare anche l’egemonia della sinistra, mettendo all’angolo Podemos fino a trasformarla in una forza residuale e tornare di fatto a una situazione di bipolarismo istituzionale. Ma nonostante la vittoria elettorale del 28 aprile scorso e i 124 deputati ottenuti il Psoe non ha i numeri e per tornare al governo serve un accordo di coalizione o appoggio esterno con la sinistra (almeno UP, ma anche gli indipendentisti catalani di Erc) o un accordo di desistenza con la destra (l’astensione del Partido Popular o di Ciudadanos). Scartata la seconda ipotesi, la prima cozza con il master plan socialista di tornare ad essere l’unica forza maggioritaria di sinistra: la formazione di Pablo Iglesias ha chiesto troppo in cambio del suo appoggio, dicono i socialisti, dati i numeri di cui dispongono in Parlamento (e i risultati delle europee). Di qui il mancato accordo: Sanchez vuole un governo che gli lasci le mani libere – quindi che non dipenda dai nazionalisti e dagli indipendentisti – e che non gli crei problemi con politiche troppo radicali rispetto a quel voto moderato di cui vuole appropriarsi; secondo la narrativa del Psoe, UP voleva invece un vero e proprio “esecutivo parallelo”.

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IL PARTIDO POPULAR E LE ALTRE DESTRE

La formazione guidata da un anno da Pablo Casado si trova in una situazione politicamente analoga. La strada verso la Moncloa è al momento lontana, ma la volontà di far fare a Ciudadanos la stessa fine che il Psoe augura a Podemos è ben presente: un ritorno al bipolarismo che però passa per un atteggiamento intransigente, per non perdere ulteriori preferenze a destra. Quindi, nessuna concessione al “senso di responsabilità” chiesto da Sanchez, e per gli identici motivi un no altrettanto netto all’astensione arriva anche da Ciudadanos, ormai del tutto impegnato ad un discorso sempre più estremista per sopravvivere come alternativa possibile al Pp e non essere cannibalizzato né da Casado né dall’ultradestra di Vox.

UNIDAS PODEMOS

Già il risultato delle politiche ha mortificato le ambizioni di Pablo Iglesias; il successivo smacco delle europee ha ulteriormente indebolito la sua posizione negoziale di fronte ai socialisti e l’unica possibilità di mantenere visibilità e peso era un governo di coalizione con qualche portafoglio importante – troppo importante, per il Psoe. Se la narrativa socialista di trasferire la responsabilità del fallimento su Up dovesse funzionare, un ritorno alle urne diventerebbe la prospettiva peggiore, e di converso potrebbe diventare un’ipotesi che Sanchez potrebbe non scartare.

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INDIPENDENTISTI E NUOVE ELEZIONI

Ma per i socialisti nuove elezioni presentano anche delle pericolose controindicazioni. Oltre a un prevedibile aumento dell’astensione dell’elettorato, anche se è possibile che il Psoe aumenti i propri deputati a danno di UP, il rischio è che la somme delle destre questa volta sia sufficiente a formare un governo. Se invece gli equilibri dovessero rimanere invariati, l’astensione oggi garantita dai nazionalisti baschi e soprattutto dagli indipendentisti catalani di Erc potrebbe venire a mancare: a settembre infatti la sentenza del processo contro i leader indipendentisti catalani sarà ormai prossima e l’attuale atteggiamento conciliante molto più difficile da sostenere politicamente. In queste condizioni, si tornerebbe ad una situazione di stallo e ingovernabilità.

LE ALTERNATIVE ALLE ELEZIONI

La Costituzione spagnola dà tempo ancora due mesi per un reincarico e un nuovo dibattito di investitura. La speranza di Up è di fatto che quello che il Psoe non è disposto a concedere a luglio possa diventare inevitabile a settembre. Sanchez è di fatto l’unico candidato possibile, e le chiavi di una coalizione sono nelle sue mani: ma le stesse obiezioni sollevate dal Psoe oggi continueranno a valere anche fra due mesi – a meno che la paura del voto non spinga entrambe le parti a più miti consigli.

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