I partiti fanno soldi col referendum

I partiti fanno soldi col referendum
30 marzo 2016

di Daniele Di Mario

Un referendum conviene sempre. In termini di partecipazione democratica, certo; ma soprattutto conviene a chi lo organizza. Infatti, quando un referendum abrogativo raggiunge il quorum di firme previste e viene ritenuto ammissibile scattano i rimborsi per i comitati promotori: un euro per ogni firma raccolta. La legge, in effetti, parla chiaro. Prima del voto, infatti, i quesiti referendari sono soggetti a un dupolice controllo. Il primo, puramente tecico, da parte dell’ufficio centrale per il referendum; il secondo da parte dela Corte costituzionale. Con la legge costituzionale del marzo 1953, infatti, le competenze della Consulta, regolate dall’articolo 134 della nostra legge fondamentale, sono state allargate fino a ricomprendervi la materia referendaria. Il ruolo chiave, insomma, viene esercitato proprio dalla Corte costituzionale, che deve sancire l’ammissibilità o meno dei quesiti. Ad oggi, i referendum bocciati dalla Consulta sono oltre sessanta. Ultima vittima illustre in ordine di tempo è il referendum sulla legge Fornero proposto dalla Lega nord, che nel gennaio del 2015 è stato dichiarato inammissibile. Al contrario, proprio grazie al parere favorevole dei giudici costituzionali, il prossimo 17 aprile si terrà il referendum “in materia di ricerca, prospezione e trivellazioni marine”. Fra gli attori che possono sottoporre un quesito alla Consulta, ci sono gli elettori italiani, attraverso la raccolta di almeno 500mila firme. Il lavoro dei cosiddetti “comitati promotori” in questo processo è fondamentale. Per questo motivo il nostro ordinamento riconosce un “indennizzo” economico.

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Come ricorda il sito Openpolis.it , le legge 157 del giugno 1999, poi modificata e aggiornata nell’agosto del 2006, sancisce che è attribuito ai comitati promotori un rimborso pari alla somma risultante dalla moltiplicazione di un euro per ogni firma valida fino alla concorrenza della cifra minima necessaria per la validità della richiesta e fino a un limite massimo pari complessivamente a euro 2.582.285 annui, a condizione che la consultazione referendaria abbia raggiunto il quorum di validità di partecipazione al voto. Analogo rimborso è previsto, sempre nel limite di euro 2.582.285 annui, per le richieste di referendum effettuate ai sensi dell’articolo 138 della Costituzione. In pratica ai comitati promotori, nel caso di quesito dichiarato ammissibile e di quorum raggiunto, viene riconosciuto un rimborso pari a un euro per ogni firma valida raccolta. Una forma di finanziamento pubblico che da un lato risarcisce i comitati civici che si attivano per proporre un referendum, dall’altro rimborsa anche quei partiti politici che hanno fatto di questo strumento un loro cavallo di battaglia. Per esempio, grazie ai due referendum proposti nel 2011, l’Italia dei valori ha incassato oltre un milione di euro.

Discorso analogo per il Comitato promotore per il sì ai referendum per l’acqua pubblica, che nel bilancio 2012 certificava 624.093 euro di rimborsi elettorali rimanenti grazie alla legge 157 del 1999. Esborsi confermati dalle pubblicazioni in Gazzetta ufficiale , sia per i due referendum proposti dall’Italia dei valori, sia per quelli del comitato per l’acqua pubblica. In totale parliamo di 500mila euro a quesito, per un totale di due milioni di euro. Nel caso del prossimo referendum sulle trivelle in mare, il quesito è stato proposto da nove Regioni. Mentre ancora deve costituirsi il comitato promotore per il referendum costituzionale che verrà chiesto dopo l’ormai prossima e scontata approvazione del ddl Boschi. In quest’ultimo caso, il Pd, partito del premier Matteo Renzi, è nettamente schierato a favore della riforma, mentre le opposizioni sono contrarie alla conferma. Una battaglia politica che sarà anche l’occasione per un cospicuo finanziamenti pubblico.

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