Referendum, partiti al voto col pensiero all’impatto sul governo

Referendum, partiti al voto col pensiero all’impatto sul governo
20 settembre 2020

E` stata votata quasi all`unanimità nell`ultima lettura parlamentare, con l`appoggio di tutti i gruppi principali presenti alla Camera, a parte qualche distinguo individuale. E` ancora sostenuta – almeno nelle dichiarazioni ufficiali, pur con un grado di convinzione variabile a seconda dei vari soggetti in campo – da una amplissima maggioranza di partiti anche alla vigilia del referendum. Eppure la riforma costituzionale promossa dal Movimento 5 stelle per la riduzione del numero di deputati e senatori eletti (da 945 a 600, per la precisione da 630 deputati e 315 senatori a 400 e 200) arriva all`appuntamento con la consultazione popolare avvolta da un`aura di incertezza. Come spesso accade, infatti, le manovre politiche contingenti hanno rimescolato gli schieramenti referendari: sia tra le forze di opposizione che all`interno della maggioranza si è fatta strada la convinzione che una bocciatura della riforma, accompagnata da un risultato negativo alle contemporanee elezioni regionali, mettendo in crisi il M5S e il suo asse col Partito democratico, potrebbe portare alla crisi di governo temuta da alcuni e agognata da altri.

Al di là dei duelli di piazza fra Sardine e altri per il No e banchetti del M5S per il sì, al di là delle ormai rituali polemiche sulle insufficienze del sistema dell`informazione, il risultato appare in bilico per una certa confusione nelle posizioni politiche ufficiali. Poca, pochissima confusione fra i 5 stelle, che però nelle ultime settimane hanno alzato i toni, segnale di un qualche dubbio sulla reale efficacia del tradizione messaggio di lotta alla “casta” dei politici. Per Luigi Di Maio “una certa vecchia politica” oggi è “terrorizzata dal perdere posti in Parlamento e si sta inventando cose incredibili per convincervi a votare no. Girano fake news e motivazioni senza capo né coda”. Conseguente l`appello a non mettere a rischio l`obiettivo: “Sono convinto – dice l`ex capo politico stellato – che la stragrande maggioranza degli italiani voterà sì ma dobbiamo dirgli di andare a votare soprattutto nelle regioni dove non si vota per le regionali e le comunali, chiedetelo ai giovani”. Fra i parlamentari del M5S – in calo di consensi nei sondaggi quindi a rischio di una dura cura dimagrante con il taglio dei parlamentari in Costituzione – i dubbi non mancano, ma allo scoperto sono usciti in pochi, il messaggio agli elettori resta granitico.

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Per il sì anche Fratelli d`Italia e Lega, con i due leader però impegnati a smarcarsi dalla battaglia. Giorgia Meloni rivendica sempre la coerenza del suo gruppo, che ha sempre votato a favore del taglio, ma da tempo sottolinea che “se vince il sì, non è una vittoria del governo” e comunque non ne farebbe “una malattia” se gli italiani decidessero in senso contrario alla riforma. Nella Lega non sono mancate le prese di distanza autorevoli, da Giancarlo Giorgetti al presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana. La Lega, precisa Matteo Salvini, senza enfatizzare troppo la scadenza referendaria, “vota sì al referendum, io ho una faccia, una coerenza, una dignità, non sono un Renzi qualunque che vota sì per stare al governo, ma poiché la Lega non è una caserma ci sta che qualcuno dica che il taglio dei parlamentari non risolve il problema”. Nel complesso, una posizione win-win: per il Sì ma non contro il No.

Forza Italia è il partito che ha sofferto maggiormente il sì deciso a suo tempo nelle aule parlamentari: non a caso oggi Silvio Berlusconi precisa che “fatto così, il taglio dei parlamentari è solo una riduzione degli spazi di rappresentanza, di libertà, di democrazia. Per questo Forza Italia ha lasciato libertà di voto a tutti i suoi sostenitori”. Posizione non dissimile da quella espressa da Matteo Renzi, leader di Iv: libertà di voto perché “questa riforma è uno spot, è soltanto un tributo alla demagogia”, dopo di che si dovrà tornare a lavorare a una riforma complessiva della Costituzione. “Il 22 settembre – avverte l`ex premier – dobbiamo sederci con tutti, Salvini, Meloni, eccetera e dire: che regole del gioco vogliamo?”.

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Posizioni alquanto ondivaghe hanno animato il dibattito anche nella parte più ortodossa del centrosinistra. Il Pd, dopo tre voti contrari, si risolse nell`ultima votazione ad appoggiare la riforma nel quadro dell`intesa di governo con il M5S; in cambio di “correttivi” che però hanno avuto iter parlamentare non rapidissimo e quindi ad oggi non sono di certa acquisizione: sulla legge elettorale, sulla base elettiva del Senato e sulla composizione del collegio che eleggerà il prossimo presidente della Repubblica. Per questo la scelta per il sì operata dal segretario Nicola Zingaretti ha dovuto scavalcare non poche prese di distanza di personalità non di secondo piano come Matteo Orfini, Lorenzo Guerini o il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca. Ma il leader dem non demorde e non accetta di derubricare la sua posizione a scelta tattica strumentale alla conservazione dell`asse di governo col M5S: “Non bisogna avere paura – sostiene – di cominciare un processo di riforme anche perché se le istituzioni funzionano meglio sono più legittimate”.

Sofferto e contorto il processo politico che ha condotto l`area bersaniana, in Parlamento coi gruppi di LeU, a schierarsi per il Sì: per evitare “il trappolone”, ha argomentato proprio Pier Luigi Bersani paventando una tempesta sul Governo in caso di bocciatura della battaglia di bandiera del M5S. Per il No si è schierata Sinistra italiana, senza troppo impegno nella campagna. Fuori dalle coalizioni, per ora, +Europa, con Emma Bonino in prima fila nella campagna per il No: per la storica esponente radicale il taglio dei parlamentari è “pura demagogia”. L`ottimismo la spinge a dire che “c`è una presa di coscienza” sul tema. E` lei il punto di riferimento di un`area per il No che scava anche nel Pd (Giorgio Gori, Tommaso Nannicini.) e fra gli ex dem come Carlo Calenda e Matteo Richetti.

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