Trump bombarda l’Iran: “Danni monumentali” ai siti nucleari. E Khamenei promette vendetta

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La notte del 23 giugno 2025 è stata segnata da un’escalation militare senza precedenti che ha fatto tremare i mercati globali e riacceso gli incubi di una guerra nucleare. Donald Trump ha lanciato un attacco coordinato con Israele contro le infrastrutture atomiche iraniane, rivendicando su Truth Social: “Tutti i siti nucleari in Iran hanno subito danni monumentali, come mostrato dalle immagini satellitari. Annientamento è un termine esatto!”.

L’operazione, coordinata meticolosamente tra Washington e Tel Aviv, ha visto gli Stati Uniti fornire al Pentagono un elenco preciso di obiettivi da colpire. Secondo fonti dell’amministrazione americana citate da Axios, Trump avrebbe personalmente richiesto a Netanyahu di neutralizzare i sistemi di difesa aerea iraniani nelle 48 ore precedenti l’attacco principale, per “spianare la strada ai bombardieri americani”.

Non è solo retorica da social media. Per la prima volta dall’insediamento della sua seconda presidenza, Trump ha apertamente caldeggiato un cambio di regime a Teheran con il suo provocatorio slogan “Make Iran great again”, echeggiando la sua celebre promessa elettorale. Una mossa che segna una svolta geopolitica di portata storica e che apre scenari impensabili fino a poche ore fa.

La risposta dell’Ayatollah: teschi e minacce

La replica di Ali Khamenei non si è fatta attendere. La Guida Suprema iraniana ha postato su X l’immagine agghiacciante di un teschio con la Stella di David sullo sfondo di edifici in fiamme, accompagnata da un messaggio lapidario: “Il nemico sionista ha commesso un grave errore, un grave crimine. Deve essere punito, lo stiamo facendo ora e la punizione continuerà”.

Parole che assumono un peso specifico terrificante quando si considera l’avvertimento che l’Iran aveva fatto pervenire a Trump tramite intermediari durante il G7 in Canada: “Se ci attaccate, attiveremo cellule dormienti negli Stati Uniti.” Un messaggio che ha messo l’amministrazione USA in stato di massima allerta. La propaganda iraniana ha immediatamente risposto con toni apocalittici. Il portavoce dell’esercito iraniano Ebrahim Zolfaqari si è rivolto direttamente al presidente americano in un videomessaggio: “Trump, giocatore d’azzardo, lei può anche iniziare questa guerra, ma saremo noi a porvi fine”.

Al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, l’ambasciatore iraniano ha accusato gli USA di aver lanciato una “guerra con pretesti assurdi e inventati”, mentre il portavoce del ministero degli Esteri di Teheran ha denunciato quello che definisce “un tradimento della diplomazia”, riferendosi al fatto che gli attacchi sono avvenuti mentre erano in corso negoziati sul programma nucleare iraniano.

Il prezzo del sangue si paga in petrolio

I mercati hanno reagito immediatamente all’escalation. Il Brent è schizzato a 77,88 dollari al barile (+1,12%), mentre il WTI ha toccato i 74,69 dollari (+1,15%). Dal 13 giugno, inizio del conflitto, il greggio ha registrato aumenti del 13% per il Brent e del 10% per il WTI.

Ma il vero spauracchio è la minaccia iraniana di chiudere lo Stretto di Hormuz, attraverso cui transita oltre il 20% del petrolio mondiale. Il segretario di Stato Marco Rubio ha fatto un appello diretto alla Cina: “Incoraggio il governo cinese a contattare l’Iran, perché dipendono fortemente dallo Stretto di Hormuz per il loro petrolio”.

Il bilancio della violenza

I numeri della devastazione parlano chiaro: 15 missili balistici iraniani lanciati in 40 minuti contro Israele, 6 aeroporti iraniani bombardati dall’IDF, almeno 10 membri dei Pasdaran uccisi nella provincia di Yazd. L’Iran denuncia la morte di tre civili in un attacco contro un’ambulanza, mentre Israele rivendica la distruzione del sito nucleare di Fordow.

Il teatro delle operazioni si è esteso su più fronti simultaneamente. L’Aeronautica militare israeliana ha condotto bombardamenti a Kermanshah nell’Iran occidentale, mentre a Teheran esplosioni sono state udite vicino alla sede della Mezzaluna Rossa.

Il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha riferito che l’IDF sta “attualmente colpendo con un regime di forza senza precedenti obiettivi e organi di repressione governativi nel cuore di Teheran”. Una dichiarazione che lascia intendere come l’operazione non si limiti agli impianti nucleari, ma punti direttamente al cuore del regime degli ayatollah.

“Gli Stati Uniti sono entrati apertamente e direttamente in guerra violando la sovranità dell’Iran islamico.” – Abdolrahim Mousavi, Capo di Stato Maggiore iraniano. Secondo funzionari militari e dell’intelligence americani, milizie sostenute dall’Iran si stanno già preparando ad attaccare le basi statunitensi in Iraq e possibilmente in Siria, allargando ulteriormente il fronte del conflitto.

L’asse del male si ricompatta

Mentre il mondo occidentale condanna l’escalation, Iran e Russia stringono i ranghi. Il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi è volato a Mosca per consegnare personalmente a Putin una lettera di Khamenei che chiede maggiore sostegno russo. Il Cremlino ha confermato che “sono in corso contatti tra Russia e Stati Uniti, anche per quanto riguarda l’Iran”, secondo quanto dichiarato dal consigliere presidenziale russo Yuri Ushakov.

Una diplomazia parallela che si muove nei canali ufficiali mentre sui campi di battaglia si combatte una guerra sempre più feroce. La Cina ha invitato tutte le parti “a impedire che la situazione si aggravi”, temendo ripercussioni sull’economia mondiale. Pechino sa bene che la chiusura dello Stretto di Hormuz comprometterebbe gravemente le sue forniture energetiche.

Le conseguenze nucleari

Il Parlamento iraniano sta valutando un disegno di legge per sospendere la cooperazione con l’AIEA, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Una mossa che, se approvata, taglierebbe definitivamente i ponti con la comunità internazionale sul controllo del programma nucleare iraniano.

“Il mondo ha visto chiaramente che l’Agenzia per l’energia atomica non ha adempiuto a nessuno dei suoi obblighi ed è diventata uno strumento politico” ha detto Mohammad Baqer Qalibaf, presidente del parlamento iraniano.

Con i siti nucleari bombardati e la cooperazione internazionale sul punto di essere interrotta, l’Iran potrebbe trovarsi nella condizione di accelerare segretamente il suo programma atomico.

La diplomazia italiana

In questo scenario apocalittico, l’Italia cerca di mantenere canali di dialogo aperti. Il ministro degli Affari Esteri Antonio Tajani ha avuto conversazioni telefoniche sia con il ministro israeliano Gideon Sa’ar che con l’iraniano Abbas Araghchi, prima del Consiglio Affari Generali UE a Bruxelles.

Un equilibrismo diplomatico che riflette la posizione delicata dell’Europa, stretta tra la fedeltà atlantica e la necessità di non inasprire ulteriormente una crisi che potrebbe avere ripercussioni devastanti sull’economia del Vecchio Continente.

Mentre scriviamo, le sirene continuano a suonare su Tel Aviv, i mercati asiatici aprono nel panico e il mondo si chiede se stiamo assistendo all’inizio di un conflitto che potrebbe ridefinire il XXI secolo. Trump ha dimostrato di non essere un bluff, Khamenei ha giurato vendetta, e tra loro c’è un’arma nucleare che potrebbe cambiare tutto.

La domanda non è più se l’escalation continuerà, ma fino a che punto il mondo è disposto a spingersi prima che qualcuno prema il pulsante rosso. E questa volta, potrebbe non essere solo una metafora.