“Picchiati e minacciati”, il racconto choc degli ostaggi italiani liberati in Libia

“Picchiati e minacciati”, il racconto choc degli ostaggi italiani liberati in Libia
6 marzo 2016

di Enzo Marino

Hanno subito violenze psicologiche e fisiche Gino Pollicardo e Filippo Calcagno, i due tecnici italiani tenuti ostaggio in Libia. Un racconto duro come solo una prigionia durata 8 mesi, in mano a criminali locali e miliziani jihadisti, può essere. Gino Pollicardo e Filippo Calcagno, i due tecnici della Bonatti liberati in Libia e arrivati in Italia stamattina, hanno ricostruito davanti al magistrato Sergio Colaiocco che indaga sulla loro vicenda, gli otto mesi trascorsi nelle mani dei loro rapitori. Il colloquio, durato diverse ore, è stato secretato, ma qualcosa è comunque trapelato. “Siamo provatissimi perché abbiamo subito violenze improvvise, fisiche e psicologiche – hanno raccontato -. Ci hanno colpito con il calcio del fucile e per alcuni giorni non ci davano da mangiare”. Quindi hanno provato a fare chiarezza sulla loro liberazione: “Siamo rimasti soli nel covo per due giorni senza cibo e senza acqua, così abbiamo deciso di sfondare la porta della casa dove eravamo tenuti prigionieri e siamo riusciti a tornare liberi. Fino a mercoledì eravamo segregati tutti assieme e sempre a Sabratha. Con noi c’erano anche Piano e Failla (gli altri due tecnici morti prima della liberazione ndr). I nostri carcerieri erano filo-islamici ma non erano militanti dell’Isis. Poi mercoledì scorso, forse per la difficile situazione che si stava creando nella zona, i carcerieri hanno deciso di separarci. Salvatore Failla e Fausto Piano sono stati trasferiti in una nuova casa. Solo questa mattina a Ciampino abbiamo saputo che erano morti”. Secondo gli inquirenti Failla e Pino sarebbero stati sistemati a bordo di un pick up con altre persone. Ma il loro convoglio sarebber stato intercettato dalle forze di sicurezza libiche. Sempre secondo la testimonianza dei due italiani, Pollicardo e Calcagno sono stati tenuti prigionieri da un gruppo islamista non direttamente riconducibile all’Isis. Secondo quanto ricostruito dai due nel corso dell’audizione di oggi, i quattro italiani sono stati tenuti prigionieri sempre nella zona di Sabrata e sempre dalle stesse persone. Due i carcerieri che si alternavano. Del gruppo faceva parte anche una donna.

Leggi anche:
Israele piazza i tank al valico per Rafah. Il premier Netanyahu pronto all'invasione

Intanto, l’avvocato Francesco Caroleo Grimaldi, legale dei familiari di Salvatore Failla, ai media afferma che”momenti drammatici resi ancora più drammatici dalla notizia che abbiamo appreso da organi di stampa, e questa è la cosa più grave, che è in corso in Libia, probabilmente a Sabrata, l’autopsia del povero Failla. Autopsia alla quale la signora, con tutte le sue forze ieri si era disperatamente opposta. Ci chiediamo in base a quale titolo, in base a quale diritto internazionale. Noi lo riteniamo un oltraggio”. “E’ chiaro – ha osservato il legale – che la genuinità dei rilievi autoptici che poi verranno effettuati in Italia è necessariamente inquinata, non può essere diversamente, dall’autopsia che sarà fatta in Libia”.

Segui ilfogliettone.it su facebook
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Se avete correzioni, suggerimenti o commenti scrivete a redazione@ilfogliettone.it


Commenti