Ingroia ci riprova e va in Ecuador. Difenderà l’ex presidente Correa

Ingroia ci riprova e va in Ecuador. Difenderà l’ex presidente Correa
L'ex pm, Antonio Ingroia
17 settembre 2018

Antonio Ingroia ora tenta la fortuna all’Ecuador. Dopo flop giudiziari e politici, l’ex magistrato più chiacchierato degli ultimi 10 anni, oggi è volato per Quito, capitale dell’Ecuador, in occasione dell’udienza preliminare che si svolgerà domani e mercoledì, in un processo “del tutto costruito sul nulla probatorio a carico dell’ex Presidente dell’Ecuador, Rafael Correa Delgado”. E’ lo stesso ex pm a darne notizia sui social, sempre in prima linea perché “la battaglia per la Verità e la Giustizia continua”. Giustizia di cui, proprio in questo periodo, va alla ricerca in quanto il leader di Rivoluzione civile è indagato per peculato.

Indagine che ha portato, la scorsa primavera, al tribunale del Riesame di Palermo a rigettare la richiesta di dissequestro della somma di 151 mila euro sequestrata proprio all’ex pm. Da amministratore unico di Sicilia e Servizi, società a capitale pubblico che gestiva i servizi informatici della Regione Siciliana, Ingroia avrebbe percepito indebitamente rimborsi di viaggio (alberghi e ristoranti) per 34 mila euro e si sarebbe liquidato un’indennità di risultato di 117 mila euro, bypassando l’assemblea dei soci, quindi in conflitto di interessi. Oltre all’aspetto dell’autoliquidazione, i pm puntano il dito contro l’ammontare dell’indennità. La legge, infatti, stabilisce che non possa essere superiore al doppio dello stipendio annuo lordo del manager.

Stipendio fissato per Ingroia in 50mila euro. Peraltro, la somma intascata dall’ex manager – “assunto” da Rosario Crocetta e non riconfermato dall’attuale governatore, Nello Musumeci – riduce l’utile della società informatica della Regione a poco più di 33mila euro. Nel conto di Ingroia, insomma, finisce poco meno dell’80% degli utili della società. Resta sotto sequestro anche la casa di campagna dell’ex pm di Calatafimi, sequestrata perché il denaro presente sui conti correnti dell’indagato non sarebbe stato sufficiente a “coprire” i 151mila euro. Il provvedimento, di conseguenza, determina l’impossibilità di vendere l’immobile. La giustizia farà il suo corso.

Giustizia che non ha avuto ancora neanche dalla politica. Infatti, oramai sono diversi i flop anellati da Ingroia. Clamoroso quello del 2013, quando la sua Rivoluzione civile non è riuscita a raggiungere la soglia di sbarramento. “Il vero errore strategico che ho commesso? Cercare il mito dell’unità della sinistra” è stata allora la sua analisi. Una sinistra che tutti cercano ma che nessuno finora è riuscito a trovare come, puntualmente, certificano le urne. Digerito il colpo del 2013, Ingroia ci ritenta nel 2018. E così è sceso in campo con la Lista del Popolo insieme a Giulietto Chiesa. Ma anche questa volta, per l’ex pm, le porte del parlamento rimangono sbarrate. Un altro “pallino”, Ingroia, ce l’ha. Ed è quello di riavere la scorta a seguito.

Cosa per cui lo scorso giugno ha scritto una lettera a Matteo Salvini, chiedendo “”una rivalutazione aggiornata della situazione di pericolo cui lo scrivente (Ingroia, ndr) ritiene di essere attualmente ancora esposto”. La “improvvisa e totale rimozione di ogni dispositivo di protezione potrebbe essere interpretato dalle organizzazioni mafiose e in particolare dai boss che ho più perseguito in questi anni – scrive ancora l’ex pm – da Matteo Messina Denaro ai fratelli Graviano agli stessi corleonesi facenti capo a Leoluca Bagarella, nonché ai capi della ‘Ndrangheta. Un segnale di abbandono e di isolamento da parte dello Stato nei confronti di chi per almeno 25 anni è stato percepito, a torto o a ragione, come un simbolo della lotta alla mafia, quale uomo delle Istituzioni e servitore dello Stato”.

Un servitore dello Stato che in piena estate del 2012, mentre le indagini palermitane su Stato-Mafia andavano avanti, partiva per il Guatemala con l’incarico di capo della Commissione contro l’impunità in Guatemala che si occupa di investigazioni e di analisi criminale. Sarebbe interessante conoscere quale investigazioni e analisi criminali sono state effettuate dall’organismo dell’Onu. Ma questo è un altro capitolo. Perché oggi è la volta dell’Ecuador, dove “probabilmente a Rafael Correa si vuole far pagare anche di avere dato asilo politico nell’ambasciata ecuadoriana di Londra a Julian Assange, fondatore di WikiLeaks e ricercato dagli Usa, la cui vita è in pericolo, come dimostra la recente misteriosa scomparsa in Norvegia del suo socio Arjen Kamphuis, anch’esso cofondatore di WikiLeaks”. Buon lavoro a Ingroia.

 

Segui ilfogliettone.it su facebook
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Se avete correzioni, suggerimenti o commenti scrivete a redazione@ilfogliettone.it


Commenti