Ponte sullo Stretto, Corte dei conti nega visto alla delibera Cipess. Meloni: “E’ un’invasione sulle scelte del governo”

La premier reagisce al no dei magistrati contabili definendo capziosi i rilievi. Salvini parla di scelta politica e rilancia l’opera.

ponte stretto

Una immagine di come sarà il Ponte sullo Stretto

Scontro frontale tra governo e Corte dei Conti sul Ponte sullo Stretto. I giudici contabili hanno negato il visto di legittimità alla delibera del Cipess che lo scorso agosto aveva dato il via libera all’opera. Una decisione che ha innescato la reazione durissima dell’esecutivo: dalla premier Giorgia Meloni al vicepremier Matteo Salvini, tutti sul piede di guerra contro quella che viene definita “un’invasione della giurisdizione” nelle prerogative del governo.

La bocciatura è arrivata al termine di una lunga Camera di consiglio della Sezione centrale di controllo di legittimità su atti del Governo. In serata il verdetto: niente visto, niente registrazione. Una mazzata per l’esecutivo che aveva incassato il semaforo verde del Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile appena due mesi fa. I segnali erano nell’aria già dalla mattinata. Durante l’adunanza pubblica, presieduta da Ermanno Gramelli, la consigliere Carmela Mirabella aveva sfilato una sequela di rilievi.

Nel mirino l’organismo deliberante – il Cipess invece del ministero delle Infrastrutture – l’assenza di competenze tecniche specifiche su aspetti cruciali come la tutela della salute, documentazione “non aggiornata”. Persino un parere del Consiglio dei lavori pubblici del 1999 è finito nel dossier dei dubbi. La sentenza politica della magistrata contabile è netta: “La politica si è sostituita ai soggetti competenti”.

Palazzo Chigi all’attacco: “Capziosità inaccettabile”

La replica del governo non si è fatta attendere. Meloni ha puntato il dito contro presunte forzature dei giudici contabili. “Una delle censure ha riguardato la trasmissione di atti voluminosi con link, come se i giudici ignorassero l’esistenza dei computer”, ha tuonato la premier, denunciando la “capziosità” dei rilievi. Poi l’annuncio: le riforme della giustizia e della Corte dei Conti in discussione al Senato, ormai in dirittura d’arrivo, rappresentano “la risposta più adeguata a un’intollerabile invadenza che non fermerà l’azione di governo”.

Salvini ha alzato ulteriormente i toni. “Grave danno per il Paese”, ha attaccato il ministro delle Infrastrutture, parlando apertamente di “scelta politica più che sereno giudizio tecnico”. Il vicepremier ha evocato la battaglia sui confini – il riferimento al processo Open Arms è trasparente – per ribadire la determinazione dell’esecutivo. “Parliamo di un progetto auspicato perfino dall’Europa che regalerà sviluppo e migliaia di posti di lavoro da sud a nord. Siamo determinati a percorrere tutte le strade possibili per far partire i lavori”.

E le strade, in effetti, ci sono. Il rifiuto della Corte non chiude la partita. L’amministrazione può chiedere una deliberazione ad hoc del Consiglio dei ministri, che a sua volta può invocare interessi pubblici superiori e imporre che l’atto vada avanti comunque. A quel punto la palla torna alla Corte dei conti, che si esprime a Sezioni riunite. Se le ragioni del diniego persistono, i magistrati ordinano comunque la registrazione apponendo il “visto con riserva”. L’atto acquisisce piena efficacia, ma espone il governo a responsabilità politica. La Corte potrà trasmettere periodicamente al Parlamento l’elenco degli atti registrati con questa formula, una sorta di monitoraggio sulle forzature dell’esecutivo.