Gas russo, il M5s riapre a Putin: scoppia la guerra nel centrosinistra

Giuseppe Conte

Giuseppe Conte

Una risoluzione che doveva essere di routine si trasforma in una bomba politica. Il Movimento 5 Stelle ha fatto saltare in aria l’unità del centrosinistra (o meglio la tanto ambita unità) con una proposta che nemmeno i suoi alleati si aspettavano: tornare a comprare gas dalla Russia. Il punto 32 del documento presentato ieri alla Camera ha scatenato una rivolta bipartisan che ha mandato in frantumi l’asse progressista proprio alla vigilia del Consiglio Europeo.

“Ho dovuto rileggerla due volte, chissà a cosa pensavano…”, confessa sotto anonimato un esponente di spicco di Alleanza Verdi e Sinistra. È lo stesso stupore che ha colto i deputati dem quando hanno scoperto che la formula “non escludere a priori” nascondeva un riferimento esplicito alla “collaborazione con la Russia per l’approvvigionamento di gas”. Troppo, anche per chi aveva sposato la linea pacifista del Movimento. La notizia della risoluzione pentastellata rimbalza sui media mentre i democratici sono riuniti in Sala Berlinguer per decidere la strategia. All’uscita, la posizione è netta: “Questa non la votiamo”. Lorenzo Guerini, circondato dai cronisti, non usa giri di parole: “Se si vota per punti, io quella roba non la voto”. L’ex ministro della Difesa conferma così una linea di fermezza che aveva già mostrato in passato, quando aveva votato contro alcuni punti di una risoluzione M5S sul riarmo.

“Leggo che nella risoluzione di un partito, presentata per il dibattito in Parlamento alla vigilia del Consiglio Europeo, non si esclude ‘una possibile collaborazione con la Russia’ sul gas. Lo trovo irricevibile. Sconvolgente sia presentato, con Kyiv martellata dalle bombe”, tuona il senatore Filippo Sensi, sintetizzando lo stato d’animo dei democratici. Ma è Carlo Calenda a sferrare l’attacco più duro: “La vergognosa mozione del M5S, tra disarmo unilaterale, abbandono dell’Ucraina e ripresa della dipendenza dal gas russo, sembra scritta da Putin”. Per il leader di Azione, la proposta pentastellata rappresenta un colpo mortale alla costruzione dell’alternativa al governo Meloni: “Credo che a questo punto il Pd debba prendere atto che non può esserci una proposta di governo alternativa alla destra da chi ha una linea di politica estera sulla Russia identica a quella di Salvini”.

Il caos si consuma in un’Aula dove l’opposizione aveva presentato ben cinque mozioni diverse per sei partiti – solo Più Europa aveva rinunciato a presentarne una propria. Un segnale inequivocabile che la compattezza del centrosinistra era già compromessa prima ancora del caso gas russo. Le divergenze emergono su tutti i fronti. Sul riarmo europeo, il Pd chiede una “radicale revisione” del piano Von der Leyen, mentre M5S e Alleanza Verdi e Sinistra lo rigettano completamente. I centristi, invece, vogliono vederlo realizzato appieno. Sulla concessione delle basi militari italiane per il conflitto in Medioriente, progressisti e pentastellati chiedono a Meloni di escludere categoricamente questa possibilità, mentre i centristi evitano di prendere posizione.

Nonostante le divisioni, Fratoianni, Conte e Schlein si uniscono nell’incalzare la premier su un punto: fermare l’escalation. “Al contrattacco americano che arriverà nei prossimi minuti come reagiremo? Dove sta la de-escalation?”, chiede il leader di Sinistra Italiana. Conte rincara: “Presidente Meloni, lei dovrebbe garantire che l’Italia non si lascerà coinvolgere, neppure indirettamente, in questa escalation militare”. Schlein è altrettanto netta: “Dica chiaramente che l’Italia non si farà trascinare in questa guerra”. Il paradosso è che mentre l’opposizione si lacera su questioni di politica estera, Giorgia Meloni può permettersi di osservare dalla sua posizione di forza.

Il centrosinistra, che puntava a presentarsi come alternativa credibile al governo, si ritrova diviso proprio sui temi internazionali che dovrebbero essere cruciali per dimostrare la propria maturità politica. La frattura aperta dal M5S rischia di avere conseguenze durature. Perché se è vero che le alleanze si costruiscono sui programmi comuni, è altrettanto vero che si distruggono quando emergono visioni del mondo inconciliabili. E tornare a comprare gas da Putin mentre l’Ucraina è sotto le bombe potrebbe essere proprio una di quelle linee rosse che è impossibile ignorare.