Hong Kong, nuovi scontri polizia-manifestanti all’aeroporto: 700 arresti da inizio proteste

13 agosto 2019

Anche oggi una giornata difficile per l’aeroporto internazionale di Hong Kong. Centinaia di manifestanti sono tornati nel terminal partenze e hanno occupato l’area attorno ai banchi check-in, di fatto impedendo ai passeggeri di partire. Questo ha spinto l’Airport Authority a bloccare le operazioni di accettazione, prima, e tutti i voli in partenza, poi. Alcuni passeggeri hanno protestato vivacemente, racconta il South China Morning Post, e ci sono state scene di caos, che viene dopo la giornata di ieri, quando la dimostrazione pro-democrazia ha costretto lo scalo a fermare le partenze, cancellando oltre 300 voli. Non solo. La tensione sale. Si registrano scontri violenti tra i manifestanti all’aeroporto di Hong Kong e le forze di polizia, intervenute sul posto per disperdere i manifestanti che da giorni occupano lo scalo. Gli agenti in assetto anti-sommossa stanno tentando di superare le barricate realizzate dai partecipanti al sit-in per bloccare l’ingresso in aeroporto alle forze di sicurezza. I manifestanti hanno bloccato i poliziotti, lanciando oggetti, e gli agenti hanno utilizzato spray al peperoncino.

Il protarsi delle dimostrazioni di questi giorni, che hanno visto anche scontri con 40 feriti, ha provocato una situazione di forte tensione e Pechino è sempre meno paziente. La presenza di un’autocolonna di polizia armata a Shenzhou, vicino a Hong Kong, lo dimostra. Quasi 700 persone sono state arrestate a Hong Kong dal 9 giugno, quando sono iniziate le proteste contro le autorita’ locali e il governo cinese. I manifestanti sono stati arrestati per reati tra cui “aver preso parte a una rivolta”, assemblea illegale, aggressione di agenti di polizia, resistenza all’arresto e possesso di armi offensive. Se giudicati colpevoli, rischiano fino a 10 anni di prigione. La persona piu’ giovane tra gli accusati e’ una ragazza di 16 anni. La Cina – che accusa i manifestanti di essere violenti e ieri ha parlato di “segnali di terrorismo” nelle proteste, oltre a suggerire che entità straniere, a partire dagli Usa, soffiano sul fuoco per suscitare una “rivoluzione colorata” – ha più volte chiarito che non resterà con le mani in mano se l’amministrazione e la polizia di Hong Kong non riusciranno a mettere la situazione sotto controllo.

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In questo quadro la chief executive Carrie Lam ha convocato oggi una conferenza stampa per chiedere ai manifestanti di fermarsi. La leader ha avvertito che Hong Kong ha “raggiunto una situazione pericolosa”, con una formula quella usata ieri da Pechino, e che la violenza sta portando su “una via senza ritorno”. Le manifestazioni sono partite dall’opposizione alla proposta di nuova legge sull’estradizione che, secondo gli oppositori, consentirebbe a Pechino di mettere le mani sui dissidenti. Nonostante, però, l’amministrazione abbia ritirato l’emendamento, la protesta non si è fermata sia perché non si crede davvero che non verrà più ripresentata, sia perché le dimostrazioni hanno preso una dimensione più ampia, chiedendo le dimissioni di Lam e contestando Pechino. Durante la conferenza stampa, a un certo punto, Lam è apparsa sull’orlo delle lacrime, quando ha fatto un appello all’unità.

“Prendetevi un minuto per pensare, guardate alla nostra città, alla nostra casa: volete veramente vederla spinta in un abisso?” ha detto secondo l’agenzia di stampa AFP. Anche queste frasi richiamano le stesse formule utilizzate ieri da Pechino. Intanto, l’Alto Commissariato Onu per i diritti umani ha espresso preoccupazione per la situazione a Hong Kong e ha chiesto un’inchiesta immediata su comportamenti delle forze dell’ordine nei confronti dei manifestanti. L’Ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha esaminato prove credibili di agenti delle forze dell’ordine che impiegano armi non letali in modi proibiti da norme e standard internazionali in reazione alle proteste. L’Ufficio – ha affermato un portavoce – esorta le autorita’ di Hong Kong ad indagare immediatamente questi incidenti.

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