Omicidio Vannini, Cassazione: “Con soccorsi non sarebbe morto”

Omicidio Vannini, Cassazione: “Con soccorsi non sarebbe morto”
Marco Vannini e la mamma Marina Conte
6 marzo 2020

Se fosse stato soccorso in tempo Marco Vannini sarebbe ancora vivo. Lo afferma la Cassazione nelle motivazioni della sentenza del 7 febbraio in cui ha disposto un nuovo processo d’appello per Antonio Ciontoli (la cui pena è stata ridotta da 14 a 5 anni) e i suoi familiari. Per gli ermellini “la morte del ragazzo fu la conseguenza delle lesioni causate dallo sparo e del mancato soccorso” da parte di Ciontoli che “rimase inerte ostacolando i soccorsi”. In sostanza, la morte di Marco Vannini “sopraggiunse” quale “conseguenza” sia delle “lesioni causate dal colpo di pistola” che della “mancanza di soccorsi che, certamente, se tempestivamente attivati, avrebbero scongiurato l’effetto infausto”, scrive la prima sezione penale della Cassazione nella sentenza, depositata oggi, con la quale spiega perché, un mese fa, decise di disporre un processo d’appello-bis per Antonio Ciontoli e i suoi familiari, annullando la sentenza di secondo grado, che, con la riqualificazione del reato da omicidio volontario con dolo eventuale a omicidio colposo, aveva ridotto la condanna al principale imputato da 14 anni a 5 di reclusione.

“Una condotta omissiva – scrive ancora la Corte – fu tenuta da tutti gli imputati nel segmento successivo all’esplosione di un colpo di pistola, ascrivibile soltanto ad Antonio Ciontoli, che, dopo il ferimento colposo, rimase inerte, quindi disse il falso ostacolando i soccorsi”. Marco Vannini “rimasto ferito in conseguenza di quello che si è ritenuto un anomalo incidente”, osserva la Suprema Corte, “restò affidato alle cure di Antonio Ciontoli e dei di lui familiari”: tutti, si legge nella sentenza, “presero parte alla gestione delle conseguenze dell’incidente: si informarono su quanto accaduto, recuperarono la pistola e provvidero a riporla in un luogo sicuro, rinvennero il bossolo, eliminarono le macchie di sangue con strofinacci e successivamente composero una prima volta il numero telefonico di chiamata dei soccorsi”. Questa sequenza di azioni “rende chiaro”, osservano i giudici di piazza Cavour, che “Antonio Ciontoli e i suoi familiari assunsero volontariamente, rispetto a Marco Vannini, rimasto ferito nella loro abitazione, un dovere di protezione e quindi un obbligo di impedire conseguenze dannose per i suoi beni, anzitutto la vita”.

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Vannini si trovava nell’abitazione della famiglia Ciontoli, a Ladispoli (Roma) la sera del 17 maggio 2015 quando fu colpito dallo sparo della pistola di Antonio Ciontoli, il padre della sua ragazza Marina, e rimase agonizzante per 110 minuti. Intanto si aggrava la posizione dei familiari coimputati di Antonio Ciontoli in vista dell’appello bis. Dovrà essere esaminato anche a loro carico l’elemento del “dolo” per la consapevolezza che ritardando i soccorsi il giovane sarebbe morto: tutti loro sapevano che Vannini era stato colpito da uno sparo, tanto che avevano cercato “il foro d’uscita”. Per la Cassazione “non è configurabile il concorso colposo nel delitto doloso, nuovo giudizio sull’elemento soggettivo in capo agli imputati”.

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