Ucraina, Zelensky vola da Trump: “L’accordo di pace è quasi pronto”. Deadline fine anno
Volodymyr Zelensky e Donald Trump
Mar-a-Lago diventa il teatro dell’ultimo tentativo di chiudere la partita Ucraina. Domenica Volodymyr Zelensky incontrerà Donald Trump nella residenza del presidente americano in Florida. Un faccia a faccia che arriva dopo settimane di trattative serrate e che, secondo fonti di Kiev, potrebbe segnare la svolta definitiva. Il piano in venti punti redatto da Washington e dall’Ucraina è completato al novanta per cento. Manca l’ultimo miglio, il più difficile: trovare la quadra su Donbass e centrale nucleare di Zaporizhzhia, i due nodi che tengono ancora in ostaggio la possibilità di un cessate il fuoco.
L’annuncio è arrivato dallo stesso Zelensky parlando con i giornalisti a Kiev. “Non sprechiamo un solo giorno. Molto potrà essere deciso entro il nuovo anno”, ha dichiarato il leader ucraino. La conferma è rimbalzata su X attraverso Barak Ravid, giornalista di Axios che ha citato un alto funzionario ucraino. Da Washington, per ora, silenzio. La Casa Bianca non commenta, ma l’assenza di smentite parla da sola. Trump aveva detto chiaro: vedrò Zelensky solo se c’è un accordo a portata di mano.
Sul tavolo le questioni più spinose del conflitto
Il documento che i due leader esamineranno domenica affronta i capitoli più controversi. Zelensky ha anticipato i temi: garanzie di sicurezza per l’Ucraina, futuro del Donbass, gestione della centrale di Zaporizhzhia. Quest’ultima è la grana più grossa. L’impianto nucleare giace sulla linea del fronte e Mosca sta trattando con gli americani una gestione congiunta che esclude Kiev dal tavolo. Una mossa che fa imbestialire gli ucraini, convinti che Putin voglia mettere le mani su un asset strategico senza riconoscere la sovranità di Kiev.
Il Cremlino punta a tutto il Donbass, comprese le zone ancora sotto controllo ucraino. Una richiesta massimalista che stride con la retorica della pace. Fonti del quotidiano russo Kommersant confermano: Putin non arretra di un millimetro sulle pretese territoriali. Gli Stati Uniti provano a mediare, ma l’equilibrio è precario. Da un lato Kiev chiede garanzie concrete che impediscano una nuova aggressione russa. Dall’altro Mosca vuole consolidare le conquiste militari e ottenere influenza sulle infrastrutture strategiche. Il piano in venti punti tenta di soddisfare entrambe le parti, ma il margine di manovra è strettissimo.
La guerra non si ferma, attacchi anche a Natale
Mentre i diplomatici parlano di pace, i droni russi continuano a seminare morte. Ieri sera uno ha centrato un condominio a Cernihiv, nel nord dell’Ucraina. Bilancio: una donna di ottant’anni uccisa, dieci feriti tra cui tre bambini. Due appartamenti rasi al suolo. Vyacheslav Chaus, governatore militare della regione, ha confermato la distruzione. La notte ha portato altri raid nella zona di Odessa: colpiti silos, magazzini civili, una chiatta, diverse navi. Una di queste, battente bandiera liberiana, è stata affondata al terminal di Mykolaiv secondo il vice primo ministro Oleksiy Kuleba.
Anche la stazione ferroviaria di Kovel, sessanta chilometri dal confine polacco, ha subito danni. Una locomotiva e un vagone merci distrutti. Gli attacchi dimostrano che Mosca non allenta la presa. La strategia è chiara: mantenere alta la pressione militare per rafforzare la posizione al tavolo negoziale. Una tattica brutale che costa vite civili e che complica il lavoro dei mediatori. Come si può firmare un accordo di pace mentre i missili piovono sulle città?
Zelensky sfida Putin, il Cremlino attacca
Le parole di Zelensky alla vigilia di Natale hanno fatto saltare i nervi a Mosca. Il presidente ucraino si è augurato la morte del suo omologo russo, senza nominarlo ma rendendo chiaro il riferimento. La risposta del Cremlino non si è fatta attendere: un discorso del genere “solleva dubbi sulla capacità di Zelensky di prendere decisioni adeguate per una risoluzione pacifica”. Un attacco durissimo che rivela quanto sia fragile il filo della diplomazia.
Eppure proprio in questi giorni la Russia ha lanciato un’apertura a sorpresa. Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri, ha annunciato che Mosca è pronta a firmare un patto di non aggressione con i paesi Nato. Condizione: deve trattarsi di “un atto giuridico internazionale a tutti gli effetti”. Una proposta che lascia perplessi. È un segnale genuino di distensione o una mossa tattica per dividere l’Occidente? Gli analisti si dividono, ma nessuno si sbilancia. Troppo presto per capire se dietro le parole di Zakharova ci sia sostanza.
Gli inviati di Trump tessono la tela diplomatica
Steve Witkoff e Jared Kushner, genero di Trump, sono i registi invisibili di questa partita. Dopo gli ultimi colloqui telefonici con Zelensky, il presidente ucraino si è detto fiducioso: “Ci sono buone idee sul tavolo che possono contribuire a una pace duratura”. I due inviati americani hanno lavorato sottotraccia per avvicinare le posizioni di Kiev e Mosca. Sul fronte russo si è mosso Kirill Dmitriev, inviato presidenziale che il 21 dicembre è volato a Miami per incontrare la controparte americana.
Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino, ha confermato all’agenzia Interfax che Dmitriev ha riferito a Putin gli esiti del viaggio. “Su indicazione del presidente sono stati avviati contatti tra i rappresentanti delle amministrazioni russa e statunitense”, ha dichiarato Peskov. La Russia è rappresentata da Yuri Ushakov, consigliere del Cremlino, mentre dalla Casa Bianca partecipano diversi interlocutori. “È stato concordato di continuare il dialogo”, ha aggiunto il portavoce. Segnali che alimentano un cauto ottimismo.
Dal piano in 28 punti alla bozza attuale
Il percorso che ha portato al documento di venti punti è stato accidentato. A novembre Washington e Mosca avevano negoziato un piano in ventotto punti, nettamente favorevole alla Russia. Kiev lo ha bocciato senza mezzi termini. Inaccettabile, hanno tuonato da Zelensky in giù. Gli americani hanno dovuto rivedere la strategia. Nelle settimane successive hanno coinvolto direttamente l’Ucraina nel processo, ribilanciando l’accordo. Il risultato è la bozza attuale, frutto della collaborazione tra Stati Uniti e Ucraina, ora inviata a Mosca per valutazione.
Trump aveva posto una condizione precisa per vedere Zelensky: solo se c’è un accordo imminente. Il fatto che il vertice si tenga domenica indica che quella soglia è stata superata. Resta da capire quanto pesi il dieci per cento mancante per completare il piano. Si tratta di dettagli tecnici facilmente risolvibili o di questioni sostanziali che potrebbero far saltare tutto? Le prossime ore saranno decisive.
La corsa contro il tempo per chiudere entro l’anno
Zelensky ha fissato un obiettivo ambizioso: accordo entro il nuovo anno. Mancano pochi giorni e la strada è in salita. Da settimane le trattative sembrano sul punto di svolta, ma la firma definitiva continua a sfuggire. In gioco c’è molto più di un cessate il fuoco. Si tratta di chiudere un conflitto che ha provocato centinaia di migliaia di morti, milioni di profughi, una crisi umanitaria che l’Europa non vedeva dalla Seconda guerra mondiale. L’incontro di domenica a Mar-a-Lago può essere il momento della verità. Oppure l’ennesimo tentativo fallito. Zelensky ci crede. Trump pure, altrimenti non lo riceverebbe. Ma Putin ha detto sì? È questa la domanda che tiene tutti con il fiato sospeso.
