A Baku, sotto il segno della tolleranza religiosa

31 gennaio 2019

La Chiesa dell’Immacolata Concezione, a Baku, è frequentata regolarmente da 150 persone, a fronte di 300 cattolici che vivono in Azerbaigian. La parrocchia è intitolata a Cristo Salvatore e da otto anni la amministra Vladimir Baksa, sempre pronto a parlare con chi viene a chiedere aiuto o consiglio. “Si può dire che molta gente in Azerbaigian cerca Dio in qualche maniera”, afferma don Baksa. In tutto i cattolici sono 600, per la metà stranieri che in Azerbaigian si trovano per lavoro. Ma l’unica chiesa cattolica è parte di un mosaico di confessioni che nella capitale azerbagiana convivono senza problemi, nel nome della tolleranza religiosa, in una fase di ritorno alle fedi, soprattutto musulmana, dopo la fine dell’Urss.

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Tolleranza attivamente promossa dalle autorità, che finanziano luoghi di culto per le diverse comunità: a Baku ce ne sono tre di ebree – quindi tre sinagoghe – e il capo della comunità degli Ebrei della Montagna pensa che sarebbe ora di unificare, ma ci sono problemi di tradizioni e anche amministrativi. Però la cosa importante, dice Melik Yevdaev, è che “qui non abbiamo mai avuto problemi di antisemitismo, mentre se vado in Europa devo girare con la scorta”. Lo Stato azerbaigiano è laico, ma oltre il 90 per cento della popolazione si dichiara musulmano. Nell’imponente Moschea Heydar cresce l’affluenza di fedeli e l’amministratore, nonché Rettore dell’Università islamica, Hadji Sabir Hasanli, parla di “rinascita islamica”. E racconta, fiero, che le preghiere qui hanno una particolarità, proprio in nome della tolleranza: sciiti e sunniti, su iniziativa del presidente Ilham Aliyev, pregano assieme. Perché, dice Hadji, “le divisioni ci sono in tutte le religioni e puntualmente c’è chi le sfrutta”. Due anni fa Papa Francesco proprio dalla moschea Heydar lanciò il suo messaggio: “mai più violenza in nome di Dio”.

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