Bersani: “Fuori dal Pd? Prima o poi bisognerà rassegnarsi”. E Guerini sancisce scissione: “Rottura difficilmente sanabile”

Bersani: “Fuori dal Pd? Prima o poi bisognerà rassegnarsi”. E Guerini sancisce scissione: “Rottura difficilmente sanabile”
7 novembre 2016

Il Pd “vedo che prende la piega di un partito che cammina su due gambe. Arroganza e sudditanza. Perché a me ha fatto male sentire ‘fuori fuori, ma ancor più male al di là della voce da tifoseria, mi ha fatto male il silenzio di chi è stato zitto. Questo vuol dire che oltre l’arroganza c’è anche la sudditanza. Ma su queste due gambe, un partito di sinistra, riformista, non può andare avanti”. Non vanno giù a Pier Luigi Bersani i cori “fuori, fuori” rivolti alla minoranza Pd alla Leopolda. E da Palermo, rilancia: “Gridavano fuori fuori – dice l’ex segretario -. Per una singolare coincidenza, nello stesso momento in cui gridavano ‘fuori fuori, avevamo un ballottaggio a Monfalcone, storica roccaforte rossa, dove abbiamo preso uno schiaffo storico. Battuti larghissimamente dalla destra leghista perché gran parte dei nostri non sono andati a votare. I leopoldini risparmiassero il fiato. Vanno già fuori. Io dico dentro dentro. Ma se il segretario dice fuori fuori, bisognerà anche rassegnarsi a un certo punto”.

Bersani apre nuovi scenari, evidenziando che “bisogna costruire un area ulivista di centrosinistra, il Pd deve essere una infrastruttura non può essere il pigliatutto con la logica de comando”.  Capitolo Italicum, altro sassolino dalla scarpa. “Hanno fatto un documentino di una pagina – aggiunge Bersani -. Ma un partito che ha il governo, la maggioranza parlamentare, se la cava scrivendo su un foglietto una cosa che poi Renzi ieri si è dimenticato anche di citare? No, vuole le mani libere su un punto sul quale non mi sento di dire `sto sereno’. Io per stare sereno voto No perché solo così tecnicamente salta l’Italicum. Poi gli altri facciano quello che ritengono, ma io in coscienza e pensando all’Italia, non a me, io non accetto questo rischio”. In altri termini, “mi preoccupa l’incrocio tra il referendum e l’Italicum, con un ‘governo del capo’ e parte del Parlamento nominato. Non sto parlando di noccioline. Non posso tollerare questo rischio con conseguenze gravissime, mi spiace”. C’è anche capitolo leadership. “Quando ci sara’ il congresso porro’ il problema, ma mica per Renzi… – precisa -. Dobbiamo separare il tema del Governo dal tema del partito, c’e’ poco da fare, anche perche’ noi abbiamo bisogno di fare un gesto politico che parli fuori da noi”. Come dire, “il segretario ce lo scegliamo noi, ma il candidato premier lo mettiamo a disposizione di una ricerca comune. Questa idea che facciamo tutto da soli, che il Pd fa tutto lui, ha ragione solo lui, questa idea di autosufficienza si sta dimostrando debolissima”. Insomma, la questione leadership “è un tema politico da porre all’ordine del giorno quando ci sara’ il congresso”.

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A distanza arriva la replica del vice segretario Pd. Quella di Pier Luigi Bersani, che parla di un Pd che si regge su arroganza e sudditanza, “mi sembra una posizione molto strumentale”, dice Lorenzo Guerini. “In questi giorni  – aggiunge – abbiamo lavorato per trovare un’intesa nel partito sulla legge elettorale, e mentre lo facevamo tutti i giorni fioccavano dichiarazioni che puntavano a sabotare questo tentativo”. In sostanza, “credo che bisognerebbe misurare le parole. E soprattutto provare a spiegare la coerenza rispetto a voti che sono stati dati in Parlamento. Ricordo che Bersani ha votato la riforma costituzionale in tutte le sue letture, vedere un cambio di opinione crea sconcerto nel nostro elettorato e nella nostra base”, aggiunge Guerini. Poi sembra sancire la scissione. “Quel ‘fuori fuori’ scandito dalla platea della Leopolda è sembrato un punto di rottura difficilmente sanabile. Non è certo stato Renzi a dire ‘fuori'”.

 

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