Cecchinato: “Ero un bravo calciatore, Thiem? Battuto nel 2013”

Cecchinato: “Ero un bravo calciatore, Thiem? Battuto nel 2013”
6 giugno 2018

A cosa ho pensato ieri sera prima di addormentarmi? A quel passante sul match point che non atterrava mai…”. Marco Cecchinato si racconta in un articolo di Angelo Mancuso, al sito della federazione italiana tennis, è il giorno dopo la vittoria contro Djokovic. Il sogno atteso 40 anni si è compiuto: l’Italia del tennis maschile ha ritrovato le semifinali in un torneo dello Slam. L’ultimo era stato Corrado Barazzutti nel 1978.

“Ho cominciato a giocare a 7 anni – racconta – Alternavo il tennis al calcio, ero un attaccante niente male e sognavo di diventare un calciatore professionista. Tifo Milan e il mio idolo da ragazzino era Kaka. Poi mio cugino Francesco Palpacelli, che per me è come un fratello, mi ha convinto a provare l’avventura a Caldaro. Ovviamente supportato dai miei genitori cui devo tantissimo perché hanno accettato sempre ogni mia scelta. Francesco ha sempre creduto in me ed era sicuro che la scelta di allenarmi a Caldaro con Massimo Sartori e Andreas Seppi, che per me è stato un modello, fosse quella più giusta. Certo ero abituato al mare e al sole di Palermo e mi svegliavo la mattina con la nebbia… Però ne è valsa la pena, quei sacrifici sono stati ampiamente ripagata. Questa mattina ho incontrato Marat Safin, mio idolo in gioventù e mi ha detto che seguirà il mio match. E’ stato emozionante”. Da Caldaro eccolo a Bordighera, sempre con il gruppo Sartori. Poi un paio di anno fa lo stesso Sartori – racconta ancora Marco – mi ha consigliato Simone Vagnozzi che faceva parte dello stesso staff. Una collaborazione iniziata nel momento più buio della carriera di Marco, quando a inizio 2017 era sprofondato intorno alla 200esima posizione nella classifica Atp e sembrava destinato a una carriera anonima da giocatore di challenger. 

“Con Simone ho trovato nuovi stimoli e la maturità. Ed eccomi qui a Parigi. Negli ultimi due mesi la sua è stata una crescita esponenziale. “Da Monte Carlo è cambiato qualcosa – aggiunge al sito della Federtennis – ma non si tratta solo di un match, sarebbe riduttivo. Già dallo scorso inverno sono stato più attento ai particolari. Ho svolto la migliore preparazione della mia carriera ad Alicante e ho deciso di non accontentarmi dei challenger. Era venuto il momento di salire di livello, anche rischiando inizialmente di perdere qualche partita in più. Ero convinto di poter disputare una grande stagione e i risultati si vedono. I match, le vittorie, ti danno fiducia, determinazione, consapevolezza. Per questo ringrazio il mio team, dal coach Simone Vagnozzi al preparatore Umberto Ferrara sino al mio manager Luigi Sangermano. Sono un giocatore nuovo, ora lotto sempre senza mollare mai. In campo sono sempre concentrato, determinato a dare il massimo e riesco a mantenere un livello alto di tennis e soprattutto ad essere continuo. Prima lo facevo meno e nei challenger a volte mi accontentavo. C’è una bella differenze a giocare i tornei più importanti, gli Slam. Qui se non giochi al massimo non hai scampo, perdi”.

Ora i media e gli avversari lo guardano con occhi diversi e con un rispetto tutto nuovo. “Da ieri è un susseguirsi di richieste di interviste, ma io voglio restare concentrato perché il mio Roland Garros non finisce qui. Per questo ringrazio il mio staff che mi aiuta a gestire tutto”. Parole sante. Adesso c’è da preparare la semifinale di venerdì contro Dominic Thiem, il robot austriaco, l’unico capace di battere Nadal sulla terra due volte nelle ultime due stagioni: nel 2016 a Roma e quest’anno a Madrid. Nel 2014 ci ha perso nelle qualificazioni a Doha, ma l’anno prima lo aveva battuto in un torneo futures a Modena. “Ricordo quel match, ma qui il contesto è ben diverso. Io però voglio provarci con tutte le mie forze”.

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